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Giochi pericolosi

La notizia
Un operaio chiede aiuto al 117: "Aiuto: mi sono giocato due stuipendi!"
Il Secolo XIX, 31 maggio 2002

Maurizio Lo Faro Il commento
Sempre più di frequente leggiamo, in mezzo ai trafiletti pubblicitari e alle foto che spingono al consumo di oggetti o persone, che qualcuno si è rovinato giocando ai videopoker truccati. E' il caso, tra i tanti, di un giocatore che ha chiesto aiuto alle Fiamme Gialle "[…] un operaio di Cornigliano che, dopo aver fatto il numero di soccorso pubblico ha detto ai finanzieri: Aiutatemi perché non ce la faccio più. In pochi giorni mi sono giocato in queste maledette macchinette, 2500 euro, che rappresentano due miei stipendi".

E' il problema della dipendenza che si ripresenta, forse, in una forma adatta ai tempi e prende l'abito di una macchinetta cromata e luccicante che produce suoni spesso confusi e assordanti. La dipendenza rimanda allo stato della schiavitù, dunque a una lotta impari del soggetto con una parte di se stesso. Colui che è soggetto ad una dipendenza (farmacologica, alcolica, oppiacea, bulimica, sessuale o, in questo caso, da gioco) non vive il suo oggetto come cattivo; al contrario, lo ricerca come depositario di tutto ciò che è "buono", di tutto ciò, che nei casi estremi, da senso alla vita. Se si aggiunge la dimensione di pericolosità o di negatività questa ha la funzione di un "vantaggio secondario" che con tutta probabilità ha come scopo la punizione del soggetto. La dipendenza è uno scenario piuttosto comune, rappresenta la tendenza a rifuggire, per mezzo di vari paradisi sostitutivi, il dolore psichico generato dalle delusioni e dai dispiaceri che costellano la vita di ogni essere umano.

Così il soggetto può aggrapparsi ad un oggetto, una droga o qualcosa utilizzata come tale.

Quest'oggetto, nello specifico il gioco, ovvero la macchina dei videopoker, sarà destinato a procurare al soggetto il sentimento di essere "reale", "vivo", destinato a colmare un vuoto di senso per quanto riguarda la sua identità e il modo di pensare il mondo. Esso sarà ritenuto completamente responsabile di tutto quello che capita all'individuo: cioè che possa dargli la felicità, e non si tratta solo di una speranza ma quasi di un dovere.

Quando, presto o tardi, l'oggetto si rivela inadeguato a questa aspettativa il soggetto si sente tradito e deluso accusandolo di essere la causa di tutte le sue disgrazie.

Nell'iniziale idealizzazione, l'oggetto della dipendenza viene riempito di ogni significato salvifico: esso è utile per soddisfare tutti i bisogni, in esso si ritrova la "madre buona" sempre presente che gratificherà ogni nostro desiderio. Il videopoker, nello specifico, assume quindi, su di sé, il simbolo di qualcosa che in maniera onnipotente ci farà vincere denaro senza dover fare la fatica per ottenerlo, e per questo è il corrispettivo di un guadagno fatto in maniera magica ed immediata. Nel contempo, giocare può soddisfare in maniera "eccezionale" il bisogno di provare emozioni, di sentire e sentirsi, quando per converso, nella vita di ogni giorno ci si può ritrovare nell'appiattimento emotivo, affettivo, relazionale.

Di fronte al vissuto di de-realizzazione e di de-personalizzazione e nella difficoltà a trovare in sé emozioni che diano un significato alla vita si richiede in maniera "perversa" al gioco, alla droga, al sesso o ad altro di riempire in noi questa sensazione di vuoto, questo buco in cui ci troviamo immersi.

"E se nei casinò c'è almeno la cultura del gioco e il rapporto con gli altri, nell'azzardo tecnologico il giocatore ha un rapporto morboso con i videopoker che effettuando giocate continue con la stessa macchinetta la "sente sua" e arriva a perderci tanto denaro": il rapporto non ha più senso in questa dinamica in quanto l'altro diventa un mero contenitore dei nostri bisogni che devono essere soddisfatti. Per fare questo, per poter idealizzare a tal punto qualcosa dobbiamo non riconoscere nessuna peculiarità propria all'oggetto idealizzato al fine di proiettare noi stessi le caratteristiche di cui abbiamo bisogno, e se nel casinò era almeno possibile una relazione con gli altri, portatori di loro vissuti e limiti, nei videopoker il "rapporto" si instaura con una macchina priva di vita propria, in altre parole in un altro noi stessi.

Attribuire ad un videopoker una ricerca di senso così ampia non può che essere infine fallimentare. Ciò accade sia in caso di vincita, peraltro rara, dove il soddisfacimento esterno del bisogno non riesce a coprire l'ampiezza incolmabile del bisogno stesso. La soddisfazione di questo rimanda alla presenza nella prima infanzia, di una madre "sufficientemente buona" interiorizzata in modo tale da poterne sopportare affettivamente la sua assenza. Ancor più in caso di perdita (nella maggior parte dei casi) si aggiunge una sensazione di impotenza di poter fruire di un tal bene desiderato e per sempre perso e un senso di colpa che ogni volta si rinnova spingendo il soggetto con sempre maggiore sofferenza a cercare una disconferma alla malvagità della sorte e al senso di vuoto.