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Psicoanalisi. Una terapia attraverso... il potere?

La notizia
Il Presidente della SPI Domenico Chianese ha aperto i lavori del Convegno Nazionale della Società Psicoanalitica Italiana con la relazione ''La cura psicoanalitica: forme di un sapere antico'': ''L'interlocutore giusto per spiegarci che cosa significa 'fare analisi' in tempi in cui è possibile consultare il medico dell'anima via Internet'' .
Venerdì di Repubblica, 21 giugno 2002

Laura Grignola Il commento
La ''notizia'' che vorrei commentare oggi è l'intervista rilasciata dall'attuale presidente della SPI a Brunella Schisa del Venerdì di Repubblica, in occasione del XII Congresso della Società Psicoanalitica Italiana sul tema della terapia e dei mutamenti del lavoro dello psicoanalista.

In realtà sono andata a leggermi questo articolo dopo che una paziente che seguo a quattro sedute alla settimana e che ama ''mettermi alla prova'' con continuità, determinazione e intelligenza, alle 7,45 (ahimè) del mattino è giunta in seduta sventolando provocatoriamente un ritaglio di giornale e pronunciando con tono assolutamente ieratico queste parole: ''Vede, se lei fosse più brava io non dovrei venire qui quattro volte alla settimana e lei sa quanto mi pesa! E non lo dice mica un cretino! Lo dice il presidente della Società Psicoanalitica!''. Sarà un agito, ma -come dicevo- non ho poi resistito alla tentazione di leggerlo, l'articolo! Così come adesso -secondo agito?- non reggo alla tentazione di commentarlo!

Apparentemente è un articolo fra tanti, abbastanza normale, con il solito atteggiamento provocatorio da parte della giornalista che, come sempre capita, usa parole e argomentazioni semplificanti, dal peso specifico greve… L'interlocutore psicoanalista in questi casi può opporre all'innocenza violenta di tale semplificazione una disarmante chiarezza. Sto pensando ad esempio a Simona Argentieri o a Mauro Mancia che hanno così spesso saputo coniugare una notevolissima capacità di approfondimento teorico e didattico con il ruolo di interfaccia tra psicoanalisi e mondo dell'informazione. Altre volte tale interlocutore psicoanalista può invece accusare il disagio di dover ridurre e trasmettere il senso di un'esperienza che essendo appunto un'esperienza, cioè noumeno, non sempre è traducibile in parole, tanto meno in linguaggio giornalistico.

Nel caso invece dell'articolo che stiamo considerando, non ci troviamo di fronte né ad una disarmante chiarezza né a disagio alcuno. Ci troviamo di fronte ad una analoga semplificazione della complessità rispetto all'approccio giornalistico e ad una baldanza davvero inusuale per persone il cui compito dovrebbe per definizione essere quello di orientare gli altri sul tema del limite e in particolare dei limiti esistenziali di pertinenza dell'essere umano.

Alla domanda ''Negli ultimi decenni e con una cadenza ciclica la psicoanalisi è stata data per morta, anche a causa dell'atteggiamento chiuso e conservativo che avete sempre avuto. Come pensate di sopravvivere ai tempi moderni?'' si risponde testualmente: ''Direi piuttosto bene visto che siamo la seconda Società psicoanalitica europea e l'Italia è il paese che meno patisce la crisi.'' E si continua: ''… ormai da anni ci siamo aperti all'esterno… Siamo stati riconosciuti come scuola di formazione dal Ministero dell'Istruzione e della Ricerca e l'attività privata è più limitata; direi che il 70, forse l'80 per cento di noi lavora anche in istituzioni di cura e dedica alla libera professione solo parte della sua attività.''

Interrogativi possibili:

E' davvero significativo e sufficiente per testimoniare la buona salute della psicoanalisi sottolineare che la SPI è la seconda Società psicoanalitica europea o che ha ottenuto il Riconoscimento Ministeriale?

Se l'Italia è il paese che ''meno patisce la crisi'' è per le peculiarità encomiabili dei suoi abitanti o perché gli italiani, nel bene e nel male, arrivano sempre un po' dopo, risentono un po' più tardi dei fenomeni della globalizzazione, e ciò in perfetta sincronia con il loro reale potere economico?

E, infine, che cosa significa l'attività professionale più limitata? Significa che non ci sono abbastanza pazienti, che non si guadagna abbastanza, che l'attività privata richiede troppa fatica, che i compromessi con le dimensioni del potere rendono lo strumento psicoanalitico meno efficace? Ci garantisce cioè uno psicoanalista più capace di attenzione fluttuante in quanto meno sovraccaricato emotivamente o soltanto uno psicoanalista più fluttuante?

Questi sono solo degli interrogativi non delle affermazioni. Ma degli interrogativi suscitati dall'idea che il discorso del presidente della SPI, almeno com'è riportato nell'articolo, possa avere essenzialmente una valenza politica e contenere una semplificazione della complessità allo scopo di sostenere tesi precostituite…

Ma veniamo alla frase incriminata, quella che mi ha indotto a ricercare l'articolo…

Alla domanda ''Siete sempre arroccati sul numero delle quattro sedute a settimana, non vi sembrano un'enormità'' si risponde: ''Fare una buona psicoterapia a due sedute a settimana è più difficile che fare un'analisi a quattro. Per riuscirci bisogna che l'analista abbia fatto un buon training, perché i tempi ridotti rendono tutto più complicato. Per dirne una: il paziente ha meno tempo per elaborare le cose dette. Insomma ci vogliono mani esperte''.

Dal 1993 si sono avvicendati nella nostra piccola scuola genovese di psicoterapia grossi nomi della psicoanalisi nazionale ed internazionale, alcuni da noi molto apprezzati e amati. Ma una delle difficoltà che abbiamo sempre avuto nelle supervisioni condotte da loro è che mentre non sempre i nostri allievi in formazione riuscivano ad avere dei pazienti a tre o a quattro sedute alla settimana, mai sarebbe stato possibile sottoporre loro un caso seguito ad un minor numero di sedute. Due sedute alla settimana? E' psicoterapia. Un didatta dell'IPA non si sarebbe mai occupato di psicoterapia! Dall'alto o dal basso dei miei quasi trent'anni d'attività clinica e poi di supervisione ho sempre pensato si trattasse di un eccesso di rigidità. Avevo visto ottenere buoni risultati anche da giovani psicoterapeuti lavorando a due sedute settimanali. Anzi, pensavo che spesso un giovane, per i casi in cui non era seguito in supervisione, potesse avere delle difficoltà eccessive a lavorare a quattro sedute settimanali. Pensavo che potesse sentirsi troppo responsabilizzato, poco creativo, poco attrezzato a reggere le bordate di un transfert fortemente e direttamente coinvolgente . Non ho mai pensato che fare psicoterapia fosse facile, squalificabile. Pensavo anzi che fosse poco trasmissibile didatticamente perché la portata di alcuni passaggi rimaneva criptica, acquattata all'interno dell'esperienza e della capacità intuitiva del terapeuta. Pensavo che in fondo tale atteggiamento integralista rendeva possibile un discorso didattico molto più preciso e puntuale, così come più preciso e puntuale risulta lo stesso rapporto terapeutico che si avvale di una frequenza elevata di incontri. Pensavo che non avrei mai preso in carico alcune persone ad una frequenza inferiore alle tre o quattro sedute e che comunque preferivo lavorare a tre o quattro sedute settimanali. Pensavo e lo penso tutt'ora. Per me non sono acquisizioni dogmatiche, ma che derivano dalla mia esperienza.

Del resto nella sostanza questa mia posizione è possibile che non sia poi così lontana da quella dell'establishment psicoanalitico. Ma perché tutte queste articolazioni e sfumature che ho espresso devono essere irrigidite in posizioni antitetiche e inconciliabili? Perché ciò che ieri era proibito oggi deve essere addirittura auspicato? Eppure si sa che tutto ciò che è rigido si spezza più facilmente!

Dice Leo Rangell, allora presidente dell'IPA, nel suo discorso di apertura del 28° Congresso dell'Associazione Psicoanalitica Internazionale, tenutosi a Parigi nel lontano 1973: ''La flessibilità, la capacità di cambiare idea, di saper ammettere che si aveva torto, il saper imparare dall'esperienza, sono cose che costituirebbero un positivo gruppo di attributi dell'Io. Questa sequenza invece -che si è sempre avuto ragione, che non noi ma i tempi sono cambiati- è un meccanismo combinato di distorsione, di diniego, razionalizzazione, inganno di sé e degli altri, e attraversa come un ponte l'inconscio, il preconscio - e il conscio.

Due, quattro sedute… In realtà un problema potrebbe essere che questo modello di ''libero professionista part-time dell'anima'' che si facilita la vita rischiando di condividere con troppa leggerezza poteri istituzionali e temporali che seducono con patti faustiani, non ha più la forza di ''imporre'' al proprio paziente -là dove lo reputi necessario per imbattersi nell'epifenomeno cura- un sacrificio che lui stesso non è disposto a fare. Non ha più la determinazione ad ''insegnare'' al proprio paziente -naturalmente in termini non pedagogici e impositivi, quindi con l'esempio- a nuotare contro corrente per l'unica via percorribile dalla mente, la via dei simboli, contro quella dei diaboli…

L'altro problema, quello sùbito colto dalla mia paziente (e anche da Leo Rangell), è quello che Bollas chiama il pensiero fascista, il bisogno di avallare la giustezza della propria posizione attraverso la denigrazione dell'altro ottenuta semplificandone il pensiero. Noi siamo i migliori, noi abbiamo ragione comunque, che siamo seduti, in piedi, a gambe all'aria o a testa in giù… Il vero problema introdotto tra le righe da questo articolo, da qualsiasi scritto che compaia sui giornali in questo periodo, e non solo sui giornali, è quello dell'analisi selvaggia.

Freud intendeva per psicoanalisi selvaggia -e l' ho già scritto su questo portale da qualche parte- sia quella del medico ignorante e pressappochista, che si improvvisa psicoanalista; sia quella di chi, pur colto in materia, ritiene di doversi opporre alle resistenze interiori del paziente attraverso rivelazioni interpretative premature, che prescindono cioè dall'instaurarsi di un'adeguata relazione di transfert in grado di contestualizzare l'interpretazione e di proteggere quindi dal rischio di disvelamenti destabilizzanti. Ma l'accezione più comune di analisi selvaggia rimanda alla presunta ed automatica incompetenza di chi non proviene dall'establishment psicoanalitico ma dal complesso e imperscrutabile panorama delle psicoterapie sviluppatesi all'interno dei vari centri ''artigianali''(non importa se di impostazione psicoanalitica; anzi sono proprio quelli da combattere!) nei quali molti psicoterapeuti attuali sono andati a bottega. Viene invece totalmente obliterata l'altra accezione di psicoanalisi selvaggia, quella dell'onnipotenza difensiva con cui uno psicoanalista può tenere a distanza il proprio paziente, per evitare un contatto emotivamente intollerabile, annientandone il discorso e sovrapponendovi la propria interpretazione. E questa purtroppo è la fine di molte analisi condotte da terapeuti formati all'obbedienza nei confronti del potere istituzionale piuttosto che al rigore di una ricerca appassionata della propria fedeltà al ''metodo''.

Tra le affermazioni più frequenti: …Siamo gli unici veri depositari del sapere psicoanalitico… abbiamo i candidati più scelti e controllati… Ma qual è l'effetto sui figli di genitori che proprio perché controllano troppo finiscono per amare molto poco?

La denigrazione medica sostenuta dalle multinazionali farmaceutiche, la convivenza con qualsiasi tipo di altra terapia inducono l'istituzione psicoanalitica, invece che all'umiltà del confronto paziente e costante, alle affermazioni apoditticamente autocelebrative, all'irrigidimento delle istanze superegoiche che si fanno quindi minacciose per l'Io e inducono a quello che Leo Rangell chiama il compromesso con l'integrità.

Il narcisismo è necessario per la salute -dice Rangell- e ha una parte di rilievo nel collasso psichico.

''La psiche, attraverso le sue difese, distorce, per ingannare il Sé. L'analisi, scavando sempre verso la verità, mira ad annullare queste deformazioni, a produrre tanta ''onestà'' quanta è possibile. Ogni paziente in analisi è in un processo di apprendimento, rivolto verso l'integrità psichica…. L'analisi mira a produrre un uomo onesto. … Per quanto sia importante per la gente comune, il raggiungimento di un'integrità intrapsichica, la capacità di essere onesti, diventano perentorie per i futuri analisti e quindi nelle analisi dei candidati. … L'atteggiamento analitico è nella sua stessa essenza il modello di un'incorruttibilità inflessibile. …Sfortunatamente si porta spesso dietro una corruttibilità tutta umana. L'atteggiamento scientifico della psicoanalisi è trasmesso al paziente da un essere umano che se lo prende a cuore''. Non so se questa sia l'immagine che il lettore, l'uomo della strada, l'allievo, il collega, possono desumere dall'articolo comparso sul Venerdì. Che cos'è dunque la psicoanalisi? Una terapia attraverso l'amore, come diceva Freud, o una terapia attraverso il potere?