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Giovani vecchi o vecchi giovani?

La notizia
Massimo Gramellini commenta le sempre più numerose scelte giovanilistiche degli ultrasessantenni (indicati in America come "new young sixty seventy"). In presenza di mezzi economici adeguati, i Giovani Vecchi inseguono le loro voglie di avventura destreggiandosi tra il desiderio di fuga dalla realtà quotidiana, le incalzanti offerte pubblicitarie e una forse nascente sensibilità per i messaggi spirituali.
La Stampa, 12 luglio 2002

Mariella Torasso Il commento
In un momento dell'anno in cui, in procinto di partire per le vacanze, ci si preoccupa molto per l'abbandono degli animali domestici e solo un poco per la solitudine di alcuni anziani, mi colpisce l'attenzione del commento di un giornalista che leggo sempre volentieri, per un particolare tipo di anziano.

La nostra società, con una popolazione anziana sempre più numerosa, paradossalmente riserva sempre meno spazio alla rappresentazione della vecchiaia come età della vita con specifiche proprie caratteristiche. Si coltiva il mito dell'eterna giovinezza e si richiede all'anziano di approssimarsi il più possibile agli schemi collettivi del riadattamento, che prevedono forzatamente partecipazione ed interesse per il mondo circostante. Anche i recenti provvedimenti governativi, con uno spostamento in avanti dell'età pensionabile (peraltro determinato da un innalzamento dell'età media), sembrano confermare una visione di vita in cui difficilmente trova posto la rappresentazione della fine di un ciclo dell'esistenza, di una fase di crisi che spesso coincide con la scoperta di potenzialità creative latenti.

Il "giovane vecchio" della nostra epoca si affaccia all'età successiva avendo perso il contatto con la dimensione del passaggio e del vissuto di trasformazione, che viene colto per lo più nel suo aspetto superficiale di dissoluzione fisica, corporea, e come tale negato. Ecco che si può partire (finanze e salute permettendo) per un giro del mondo in camper, portandosi appresso "l'ultimo libro di Castaneda, mica il calendario delle veline. Al limite tutti e due" (Massimo Gramellini, cit.), dimostrando così di essere - almeno come consumatore - ancora un anello della catena di produzione . Con una piccola concessione al carattere di introversione, rappresentato da una lettura "spirituale" come quella di Castaneda, il nostro "giovane vecchio", finalmente libero da uno stato di potere e di responsabilità, si nega l'irripetibile possibilità di raccogliere, attraverso gli aspetti positivi dei ricordi e delle esperienze passate, il senso più autentico di sé.

"Non esistono 'lifting' per la psiche, ricostruzioni di facciata e di verginità. Il valore della psiche sta sempre nella sua storia, nelle crepe che si fanno strada a partire da radici forti, che non ricorrono a maschere e patetici travestitismi. La personalità di un uomo sta sempre al punto di incrocio tra la dimensione sincronica - il presente - e quella diacronica - il passato" (da A. Carotenuto, Attraversare la vita, Bompiani, 1999, p.82).

La ricerca di senso continua per tutta la vita e ogni età può comprendere la crescita della consapevolezza di sé, come testimonia l'attività onirica delle persone anziane, ricca di contenuti di rinascita, piuttosto che di decadenza.

"Quello che a uno sguardo superficiale può apparire uno stanco ripiegamento su se stessi, un inaridirsi progressivo delle proprie capacità, è invece indice di qualcosa di importantissimo: è l'inizio di un lento processo di concentrazione dell'energia libidica verso una meta differente da quella 'estroversa' del semplice adattamento al mondo esterno…. Adesso si comincia a riflettere su come si è vissuto, su quali sono state le proprie scelte. Questo determina una fase di introversione, con tutti i pericoli ma anche le potenzialità che ogni viaggio nelle proprie profondità comporta e offre" (da A. Carotenuto, Vivere la distanza, Bompiani. 1998, p.128).

La nostra società richiede invece l'omologazione a modelli estrovertiti a forte connotazione maniacale, dove il momento depressivo è sistematicamente evitato. Non c'è posto per riflessione, vecchiaia e tanto meno morte. Morte fisica o anche morte di alcuni nostri aspetti che non sono più significativi e a cui dobbiamo rinunciare per non precluderci il futuro.

Forse quelli del "giro del mondo in camper", piuttosto che "giovani vecchi", sono "vecchi giovani", che devono ancora imparare ad accettare l'inesorabilità della trasformazione (che non avviene senza morte e rinascita), la modificazione profonda dell'atteggiamento psicologico, per fare posto ad una posizione di maggiore autonomia e unicità.

Come suggerisce Migliorati, individuando una traccia di possibile percorso analitico, "la persona che ha già compiuto le scelte fondamentali, che l'avventura, nel bene e nel male l'ha corsa già da tempo, non ha tanto bisogno di ricostruire il passato per prenderne le distanze ma piuttosto di ascoltarlo con altre orecchie, per rievocare gli aspetti più profondi e sottili sfuggiti alla coscienza che si è affacciata, spesso senza avvedersene, ad un altro livello di esperienza, più sostanziale e radicale che non quello che aveva creduto ne fosse la sostanza; per sostituire al ricordo di fatti perduti e non rinnovabili l'ascolto di esperienze delle quali ha conservato solo vaghe intuizioni ma le cui tracce occhieggiano nella massa informe di fatti lontani dei quali ora piange la perdita" (da P.Migliorati, "L'analisi tra Mnemosyne e Lesmosyne", in Invecchiare tra sintomo e necessità - Rivista di psicologia analitica, VIVARIUM 62/2000, p.71).