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Droghe nuove, dipendenze antiche

La notizia
Ci si droga di più, ma si muore di meno. Merito del mercato, più esigente. Ma anche dei nuovi tipi di ''sballo''. Sondare la borsa delle droghe non è un'operazione semplice. I parametri di riferimento sono limitati. I sequestri, i decessi, gli indici di consumo, gli arresti, i mezzi di trasporto, i paesi di provenienza, le produzioni. Ma il lavoro svolto ogni anno dal Servizio Centrale antidroga del ministero dell'Interno offre uno spettacolo unico di un mondo illegale, quindi clandestino, che sfugge a qualsiasi rilevazione di tipo empirico.
La Repubblica, 26 luglio 2002

Eraldo Walter Machet Il commento
"Mai come quando amiamo prestiamo il fianco alla sofferenza, mai come quando abbiamo perduto l'oggetto amato o il suo amore siamo così disperatamente infelici"
S. Freud, Il disagio della civiltà, OSF, Boringhieri, Torino, pg. 574

Questo rapporto droga, pubblicato da Repubblica, si rifà al nuovo annuario del Viminale che "contiene tutti i dati relativi al 2001", disponibili "da oggi anche sul sito Internet del ministero dell'Interno". Mi sembra, però, che questo lungo ed articolato dossier solo nel sottotitolo faccia un accenno al problema psicologico della dipendenza. E' su questo aspetto che vorrei soffermare l'attenzione, nel tentativo di trasporre la ricchezza quantitativa di questi dati in una maggiore comprensione qualitativa degli stessi.

Quello della dipendenza è un problema psicologico caratterizzato da una lunga storia che implica un difficoltoso cammino di maturazione, un percorso che, com'è ormai noto, ha il suo momento più importante nella prima infanzia, quando il piccolo essere umano, fragile e incompleto, è davvero totalmente dipendente da chi si prende cura di lui. Anzi: questa dipendenza ha la sua origine ancor prima del momento della nascita, affonda le sue radici nella storia di un uomo e di una donna che, ad un certo punto della loro vita, hanno scelto di stringere un legame affettivo, quindi di dipendere reciprocamente, per realizzare un loro desiderio d'amore. Ora, la quotidiana esperienza psicoterapeutica e gli strumenti analitici che la psicoanalisi offre, continuamente attirano l'attenzione proprio intorno a questo problema. Nella società contemporanea, infatti, esso presenta connotati particolarmente significativi, a volte anche drammatici, che ben si possono identificare nei termini di "malattie della dipendenza". Le manifestazioni di tale "malattia", in genere, implicano l'uso di sostanze che possono essere anche molto diverse tra loro: alcool, fumo, cibo, farmaci… sino alle droghe tradizionali o alle "nuove" droghe che in "un weekend si possono provare assumendo tre-quattro tipi diversi di stupefacenti a seconda dei tempi e dei luoghi che si frequentano". Probabilmente sono proprio queste "esperienze" che si rivelano portatrici dei significati maggiormente distruttivi e tragici, non solo per il singolo individuo, ma per l'intera società. Ciò colpisce in modo particolare perché i fenomeni cui ci si riferisce si verificano proprio nel contesto dell'attuale enfatizzazione degli ideali di autosufficienza dell'individuo, pensato come indipendente e responsabile unico di fronte ai valori morali e sociali. I due dati sembrano nettamente in contrasto tra loro. Non solo: le modalità della dipendenza, quella che abbiamo chiamato malata o distorta, sembrano essersi, per certi versi, approfondite e aggravate. Nei decenni passati, ad esempio, l'uso delle sostanze stupefacenti era vissuto quale strumento di contestazione nei confronti di un mondo adulto sentito come limitante, rigido ed ingiusto; la relazione giovani-adulti era, dunque, connotata da forte aggressività e da contrapposizione che, a volte, poteva farsi anche violenta, ma era pur sempre una relazione. Oggi, invece, non ci si buca più, perché è "troppo pericoloso bucarsi come un tempo, in gruppo, con lo scambio di siringhe. L'Aids e le malattie correlate fanno paura". Oggi il ricorso alle droghe sembra totalmente svincolato dal rapporto con l'altro. Osserva acutamente Giuliana Grando in un interessante saggio che voglio richiamare:

La dipendenza dall'oggetto risulta allora in maniera evidente, una strategia di eliminazione della dipendenza strutturale dall'Altro, vale a dire la dipendenza dall'Atro del linguaggio, della cultura che pre-esiste al soggetto […] a cui il soggetto deve la propria nascita in quanto soggetto [ …].
G.Grando, "Nuove schiavitù" ed. F.Angeli Mi, 1999, pag.21

Nelle attuali malattie della dipendenza non c'è più un soggetto di fronte ad un altro soggetto, sia esso padrone, padre, famiglia, stato, società o altro ancora. La persona è tragicamente sola insieme ad una sostanza, si lascia spadroneggiare da questa sostanza fino ad una ferrea e non risolvibile schiavitù. E tale sostanza - farmaco, cibo, alcool o droga - è il "nuovo padrone" che allontana inesorabilmente chi se ne serve dagli altri esseri umani, lo pone a distanza, lo confina in un godimento autarchico, autogestito, solitario, dove ogni condivisione è abolita. Anche i momenti in cui si sta insieme ad altre persone, infatti, non sono e non possono essere spazi di autentica comunicazione, ma si riducono ad una sorta di vicinanza esterna che non esce dal cerchio di uno stretto isolamento. Da questa libertà apparentemente assoluta, dall'illusione di un farsi da sé senza l'altro, illusione che traspare nelle parole del tossicomane "mi faccio", emerge sempre più prepotentemente la strategia di fondo inconsciamente adottata. Una strategia che tende a far essere incessantemente presente proprio quell'altro di cui, apparentemente, si dice di non aver alcun bisogno ed alcun desiderio. Sotto le spoglie di un "oggetto-sostanza" (oggetto-cibo nella bulimia-anoressia; oggetto-alcool nell'alcoolismo; oggetto-droga nella tossicodipendenza; oggetto-cosa nell'esasperato consumismo) l'altro soggetto può finalmente essere posseduto direttamente quando si vuole, quanto si vuole e come si vuole. Ma, in realtà, all'interno di tale autonoma solitudine, né la sostanza di volta in volta usata, né l'espediente psichico affannosamente perseguito, riescono ad arginare quell'angoscia e quel vuoto nel quale il soggetto stesso si sente imprigionato. L'altro, infatti, con la sua esistenza separata, con il suo essere per natura distinto e diverso, testimonia e ricorda come le cose e le persone non possono essere mai possedute definitivamente, in ogni momento e per sempre. La sostanza che sembra magicamente cambiare l'assenza dell'altro in un vuoto che si può facilmente riempire, di fatto continua a riprodurre una mancanza nella misura in cui viene costantemente consumata. Diventa così sempre più necessario chiudersi in se stessi ed imprigionarsi da sé in un mondo incantato, troppo fragile per reggere l'impatto con la realtà quotidiana.

Così evidenziava Freud ne IL DISAGIO DELLA CIVILTA':
La sofferenza ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo che, destinato a deperire e a disfarsi, non può eludere quei segnali di allarme che sono il dolore e l'angoscia, dal mondo esterno che contro noi può infierire con forze distruttive inesorabili e di potenza immane, e infine dalle nostre relazioni con altri uomini. La sofferenza che trae origine nell'ultima fonte viene da noi avvertita come più dolorosa di ogni altra.
Freud, Il disagio della civiltà, OSF, Boringhieri, Torino, pag.568-569

E' nel rapporto con l'altro, come sottolinea Freud, che si può determinare la maggiore possibilità di sofferenza perché l'altro può essere perduto, sia sul piano fisico, sia - soprattutto - sul piano psicologico ed emotivo. Penso che lo spaventoso vuoto interiore da colmare possa aprire alla scelta della droga, immaginata come mezzo immediato apparentemente adatto a superare la drammaticità della perdita. Di fronte ad esperienze particolarmente dolorose come queste, si può temere, infatti, che la mente non sia in grado di conservarsi integra e funzionante. Il fuggire in un solitario mondo di illusioni, pensato come privo di sofferenza, può davvero essere avvertito come una prospettiva salvifica. In questo caso, però, diventa difficile anche solo immaginare la storia di un uomo e di una donna nella loro inevitabile interazione reciproca per conseguire un progetto d'amore. Il contatto diretto e profondo con l'altro, infatti, riaprirebbe al rischio della separazione, al terrore della mancanza, al dolore di una antica dipendenza.