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Perché la guerra?

La notizia
Alcuni articoli della sezione Primo piano de "L'espresso" affrontano il tema della guerra all'Iraq esaminando la posizione di Bush ("La pace nasce dai missili"), i dubbi nella Casa delle Libertà ("Siam di destra e pacifisti"), le riflessioni di Formigoni ("Ma Saddam non è Hitler"). Il settimanale propone anche una copertina titolata "I padroni della guerra", in cui campeggiano quattro personaggi: il segretario di Stato Colin Powell, il vice presidente Dick Cheney, il presidente Bush, il consigliere per la sicurezza Condi Rice.
L'Espresso, 10 ottobre 2002

Mariella Torasso Il commento
Gli articoli citati confermano l'impressione di determinazione e il crescendo di argomentazioni favorevoli alla guerra che i mass media da tempo attribuiscono quotidianamente alla Casa Bianca e ai relativi portavoce: "Come Napoleone Bonaparte 200 anni fa, George W. Bush vuole portare la libertà nel mondo sulla punta delle baionette" (L'espresso nr. 41, W.Goldkorn, p.32). Ma alle certezze di chi prepara "una marcia trionfale nell'universo musulmano e nel mondo" (ibidem, p.34, parole attribuite al consigliere per la sicurezza, appunto…) si contrappongono i dubbi e le contrarietà di quanti si interrogano sulle ragioni della guerra.

Già nel 1932 Einstein, sollecitato dall'"Istituto internazionale per la cooperazione intellettuale" (emanazione della Società delle Nazioni), aveva coinvolto Freud in un dibattito epistolare sul tema.

Einstein si interrogava sulla possibilità di liberare gli uomini dalla fatalità della guerra e si chiedeva cosa mai rendesse così vulnerabile una massa asservita ad una minoranza decisa a vedere nella guerra un'occasione per promuovere autorità e interessi personali.

L'intervento di Freud adottava il punto di vista psicoanalitico per inserirsi nelle argomentazioni (rilanciando peraltro temi già affrontati dal 1915 al 1929); dopo aver concordato con Einstein circa l'opportunità della costituzione di un organismo sovranazionale di pace dotato di potere, Freud proponeva il potenziamento di Eros contro la pulsione di morte e l'educazione di una "categoria di persone elevate dotate di indipendenza di pensiero", in grado di guidare la massa e di tenere sotto controllo la vita pulsionale dell'umanità.

Al di là del risvolto consapevolmente utopistico del percorso proposto, alcune considerazioni di Freud sull'essere pacifista non mancano di farci riflettere. Il rifiuto della guerra per un pacifista ha carattere costituzionale, organico, e non solamente intellettuale, affettivo perché la guerra contraddice prepotentemente all'organizzazione psichica raggiunta con il processo di civilizzazione. La guerra è totalmente altro rispetto alla preminenza dell'intelletto sulla vita pulsionale e rispetto all'interiorizzazione dell'aggressività che il percorso di civiltà ci ha portato - con le sue conseguenze non sempre positive. "Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti?" si chiedeva Freud nel settembre del 1932.

Una settantina di anni dopo non possiamo sottrarci al flusso di immagini e di notizie che la guerra mass-mediatica rovescia nelle nostre case. Possiamo fingere di essere indifferenti - anche per difenderci dall'angoscia - e rifugiarci in una posizione regressiva ("tanto le decisioni passano sopra la mia testa di semplice cittadino…"), ma il nostro inconscio sicuramente registrerà l'impatto violento delle immagini di sofferenza e di morte e forse ci rilancerà la domanda: perché?

Wotan, l'antico "dio d'impeto e di bufera", potente incantatore e illusionista dello spirito germanico, risvegliatosi - nella lettura di Jung - a distruggere gli ideali di un'epoca e a proporre un ritorno al passato, forse sta assumendo archetipicamente nuovi volti in nuovi luoghi. Per riprendere l'immagine di Jung (1936), come un vecchio fiume scomparso nelle viscere della terra ritorna improvvisamente nel suo letto, così si può ridestare pericolosamente dagli abissi dell'inconscio quella parte ombra che l'uomo non sa più riconoscere come propria.

Consapevoli dell'urgenza di ridurre la distanza tra mondo interno e mondo esterno, si desidera suggerire la lettura dell'interessante testo di Nicole Janigro, La guerra moderna come malattia della civiltà (Bruno Mondadori, 2002) che, proponendo brani di Freud, Jung e altri, può accompagnare la riflessione su ciò che significa guerra oggi.