Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorarne l'esperienza di navigazione e consentire a chi naviga di usufruire dei nostri servizi online. Se prosegui nella navigazione acconsenti all'utilizzo dei cookie.
Per maggiori informazioni leggi la privacy policy e la cookie policy presenti nel sito.

La vita in un pugno di CD

La notizia
Dal 3 al 6 dicembre si tiene a Juan Les Pins il Convegno internazionale dell'Association for Computing Machinery, dove Gordon Bell e Jim Gemmel, ricercatori della Microsoft, presenteranno i risultati di un esperimento relativo alla trascrizione su computer di dati che riguardano l'esistenza di una persona.
La Repubblica, 2 dicembre 2002

Nicoletta Massone Il commento
Ogni dimenticanza verrà abolita.

Questa è la scommessa di Gordon Bell e Jim Gemmel, ingegneri del laboratorio della Microsoft a S. Francisco, che si propongono di raggiungere un risultato così ambizioso, registrando su computer tutti gli avvenimenti della loro via: appuntamenti, nomi e storie delle persone conosciute, brani musicali, libri letti, spettacoli teatrali e film che si sono visti, ecc. “Immaginate di essere in grado di fare una ricerca tipo Google su tutta la vostra esistenza”, dice entusiasticamente Bell, con la possibilità, ad esempio, di conoscere in ogni momento non solo il titolo di una rivista momentaneamente dimenticata, ma anche il luogo dove la si comprava, gli articoli letti di maggior interesse, le suggestioni che sono state utilizzate e il quando tutto questo è successo. “In fondo – osservano i ricercatori – il computer non ha bisogno di dimenticare e quindi perché privarsi di un dato che, forse, un giorno potrà tornare utile, dal momento, tra l’altro, che conservarlo non costa niente?” Questo è, in effetti, un ulteriore aspetto: il materiale che ospita i dati è molto capiente e molto economico. Per fare un esempio, se si registrasse tutto quello che si ascolta in una esistenza lunga 80 anni, si riempirebbero solo 40 GB, ossia una parte molto piccola di un CD vergine. Dunque, perché no? Così le fastidiose amnesie che spesso ci lasciano esposti ad un nulla di significato e di assenza, potranno essere agilmente saturate da un rassicurante rumore di tasti che, tempestivamente, provvede a colmare ogni distanza. Perché no? Costa anche poco. E si può registrare tutto.

“Il PC – dicono ancora Bell e Gordon – potrebbe contenere copia anastatica della nostra esistenza”. L’idea, in origine, era venuta ad uno stretto collaboratore del presidente degli Stati Uniti, Frenklin Delano Rooselt, che aveva immaginato di potersi servire di un archivio ben strutturato, completo e versatile, della propria esistenza, in modo da essere provvisto in ogni momento di tutti i dati necessari. In effetti, il progetto può affascinare: mai più parole “sulla punta della lingua”, non più il senso di un incedere claudicante, sul crinale di una consapevolezza dolorosa di incompletezza.

Dove va quello che non torna in mente? Le parole, ma anche i paesaggi e i volti, gli occhi e le mani? Possibile che la nostra vita svanisca in questo modo lieve, inesorabile, assoluto? Senza nemmeno rendercene avvertiti, i giorni si congedano da noi con indesiderata discrezione e si portano via per sempre i colori, i baci e le lacrime. Finiamo per sparire del tutto a noi stessi, inghiottiti da un tempo indifferentemente uguale per tutti nel suo silenzio misterioso.

D imenticare non è bello quando diventa immagine di una caducità che ci contamina e che ci attende. La copia anastatica della nostra esistenza, dove nulla va perduto, e tutto è sempre contemporaneamente disponibile e presente, può forse consolare il nostro smarrimento che parla, invece, di perdita e di abbandono. Ma è poi davvero una consolazione?

A dire la verità, anche se ricordiamo, anche se lo facciamo con la maggior precisione possibile, nessuna accuratezza riuscirà a rendere effettivamente presente l’oggetto del nostro ricordo. Né a scacciare la pena per una perdita intollerabile e per una solitudine che sembra sostanziale al nostro esistere. Forse l’idea del “cervello di scorta” cerca di alleviare l’inquietudine con l’illusione di una autosufficienza assoluta: ricordiamo tutto quello che ci è accaduto, che ne impadroniamo, lo inscriviamo nella materia, in un pezzo di materia da portare persino in tasca, sempre con noi, leggibile dalle tecnologie future, immortale. Nessuno si permetterà più di passare per la nostra vita accendendola di desideri e speranza, per poi andarsene lasciandoci solo la desolazione del silenzio, dell’abbandono, del fallimento. Ci prendiamo tutto prima, anche l’emozione del nostro cuore, e la portiamo in un luogo non deteriorabile, sempre a nostra disposizione per tutte le volte che ne avremo bisogno. Non ci capiterà mai più di attendere qualcuno che non viene, non vogliamo conoscere l’ingiustizia e la lacerazione della mancanza. Non ci fidiamo di nessuno perché proprio tutti ci possono ferire, non ci fidiamo nemmeno di noi stessi, così poco attendibili, imprecisi e fragili. Cosa vogliamo raggiungere? Forse possiamo tentare di dimostrarci che la memoria è solo questo: una semplice registrazione di dati. La nostra mente, quasi pellicola fotografica, si impressione agli input luminosi che la raggiungono e registra dei dati. Realizza fedeli riproduzioni. Ma sappiamo quanto questo non sia vero.

Ricordiamo in modo discontinuo, infedele, impreciso, a volte anche cosa mai accadute. Certamente ricordiamo, invece, qualcosa che ci ha catturato emotivamente: quel Natale quando i regali sotto l’albero ci hanno resi certi dell’esistenza di Babbo Natale, una risata inaspettata e travolgente che ha riempito di sé case e strade e piazze, uno sguardo sfuggente e un po’ ambiguo che abbiamo saputo solo dopo che era l’ultimo sguardo. Nel tentativo di descrivere, verrebbe voglia di raccontare, tenere conto dei mille particolari perché tutti, improvvisamente, ci sembrano importanti, addirittura irrinunciabili. Altrimenti non si può capire. Il ricordo, così, si rivela essere un precipitato complesso di elementi che contengono un significato irrinunciabile per noi, un senso che ha costituito la nostra storia e quello che noi siamo. Un senso, poi, mai compiuto definitivamente, che sembra sempre sfuggirci nella sua interezza quanto più ci affanniamo a raggiungerne la sostanza ultima. A volte pensiamo e ripensiamo ad un fatto e questo, invece di sciogliersi e chiarirsi, si apre ad una infinità di ulteriori significati. Tutto questo, però, può essere certamente destabilizzante per noi. Una memoria che non è fedele riproduttrice di realtà, ma che invece si attiva sulla base delle nostre emozioni e dei nostri desideri, sembra abbandonarci ad una non attesa consapevolezza: non siamo incontrovertibilmente legati ad un mondo esterno chiaro, visibile ed oggettivo che ci determina, ma è piuttosto la realtà interna così contraddittoria, violenta e fragile, imprecisa e dolorosa, a motivare i nostri comportamenti e la nostra vita. Dice Bion in Attenzione ed interpretazione:

“La minaccia è sentita derivare dal fatto che tale soppressione (del rapporto con il mondo oggettivo) sconvolge l’esperienza fondata sui sensi, che costituiscono la realtà familiare di ogni individuo […] Tale soppressione sembra anche vicina a ciò che accade nei pazienti gravemente regrediti.”

E’, forse, allora il timore della follia quello che ci coglie, nel momento in cui ci scopriamo stranamente, a volte anche incommensurabilmente, lontani dal mondo che pure abitiamo. D’altra parte, nello scoprire sempre più e nel fare nostri i diversi significati di ciò che ci appartiene, realizziamo una possibilità autentica di arricchimento e di maturazione. Il nostro modo di funzionare, di cambiare e di crescere, è diverso da come ce lo eravamo immaginato, decisamente meno rassicurante del previsto e del desiderato.