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Per non provare dolore... Confusione sessuale e crudeltà

La notizia
"Townshend a casa. Arresti vip in arrivo" di C. Di Clemente
"Il Giorno" del 15 gennaio 2003

"Il sogno infranto del piccolo Kris pestato perché ama la danza" di P. Filo della Torre
"La Repubblica" del 9 gennaio 2003

Floriana Betta Il commento
Questi due articoli riguardano due episodi direi violenti e dolorosi insieme. Due fatti che sono accaduti a Londra, per me città di vita e di civiltà, nei miei mitici ricordi giovanili, quando Londra era i Beatles e la Tavistock Clinic : quando, nei lontanissimi anni settanta, quelli dei Who, e dell'isola di Wight, sono andata a lavorare, come ragazza alla pari, dalla cattolicissima e violentissima Trento - parlo di una violenza di tradizione asburgico guelfa, beninteso -.

Londra era il posto dove si poteva girare liberi la notte, senza pericolo, dove potevi incontrare i Pink Floyd al pub , dove le donne, anche quelle perbene e anziane fumavano per strada, dove si faceva educatamente la coda al bus, dove i gay giravano - allora - mano nella mano a fare shopping, dove chiunque poteva avere assistenza sanitaria gratuita e rispettosa, e al paziente mi insegnarono a rivolgermi con gentilezza e curiosità.

Peter Townshend, dei Who, arrestato e rilasciato su cauzione, per una faccenda di porno produzione di materiale pedo pornografico. E' già stato organizzato un nuovo vocabolo composto per circoscrivere l'orrore.

Come non ricordarmi di Peter Townshend, il chitarrista dei Who, con quegli accordi strippati,con la chitarra sonata in ginocchio, quasi rantolando per terra, e come non ricordarmi di quel film, "Tommy" dell'altro poeta maledetto, Ken Russel, quel film, in cui recitava Townshend, e che narrava,un po'ritrasformata , appunto, la storia della sua infanzia.? "Tommy" è un film opera rock che parla di sevizie subite da un ragazzino da parte di tutti:, dal padre violento, da uno zio, un cugino di poco più grande, tra L.S.D. e alcool.. S evizie e torture e abuso, un abuso di tutti su tutto, dalla disgregazione sociale abusante alla violenza sessuale specifica. Nel film, il mondo, ben lungi dall'esser salvato dai ragazzini, dà comunque la possibilità al piccolo Tommy, alias Pete, di togliersene fuori con successo, quando si vendica di tutti gli adulti diventando campione, mi pare, di flipper.

L'altro articolo riguarda un altro ragazzino, Kris King, dodici anni, ballerino prodigio, che, sulla trama di un altro film, " Billy Elliott ", cerca con disciplina, fatica ma anche entusiasmo e determinazione, di inseguire un suo ideale: diventare ballerino come Nurejiev. Già a dodici anni, ha ballato in teatro a Londra in alcune opere di balletto. Ma… alcuni compagni, prima lo infastidiscono con prese in giro, con sbeffeggiamenti umilianti, emarginandolo dai giochi e dalla compagnia. Poi succedono episodi di spintonamento e di minaccia tali da indurre i genitori a protestare per attirare l'attenzione degli insegnanti su quello che già diventa un problema.

Poi non basta più schernirlo a " femminuccia e frocetto " e dargli qualche spintone in cortile.

Lo aspettano in piccolo gruppo, lo insultano, lo pestano a sangue e gli fratturano deliberatamente un piede. Kris, tra un mese di gesso potrà camminare, potrà farsi operare a pubertà finita, ma certamente non potrà più danzare a livello di ballerino.

L'articolo parla dell'invidia. Certamente c'è questo sentimento spogliante ed omogeneizzante dietro questa violenza. Ma non mi risulta che mai un ragazzo sia stato pestato perché bravissimo in matematica o perché ha partecipato con successo allo Zecchino d'oro.

Mi pare che sia determinante, in entrambi gli episodi, un qualche riferimento specifico a delle difficoltà verso la sessualità, verso l'omosessualità . La violenza che ne scaturisce mi pare diventare un sentimento di copertura di queste difficoltà.

Sia nell'episodio di Pete Townshend, che in quello di Kris trapela l'intolleranza che porta poi a quella forma di aggressività riassumibile sotto la legge " controllare o essere controllati ". Il piccolo Tommy torturato e controllato in un dominio totale dagli adulti, diviene il divo cinquantasettenne, pedofilo torturatore, controllato e passivizzato allora, che ribalta la situazione adesso.

Non è solo invidia quello che muove i giovani torturatori del ballerino Kris. Nel momento in cui lo insultano a " femminuccia e frocetto " ne vogliono controllare la sua specifica spontaneità creativa, e fanno trapelare l'intolleranza violenta verso una specifica diversità e una specifica differenziazione dell'altro, e il rifiuto di quelle vie di interazione e di mediazione - dette dialogo - che solitamente permettono di modulare l'aggressività.

In entrambi i casi, esplicitamente per Townshend, più implicitamente nell'altro, l'aggressività si colora di una componente difensiva, che tenderebbe a dare l'illusione di un reimpasto accettabile della distruttività controllante agli occhi del soggetto: quello della sessualità.

L'eccitamento sessuale, ripeto, più o meno esplicito, dovrebbe permettere ai violentatori di scotomizzare l'aspetto sadico e distruttivo di quello che sta accadendo, e che viene razionalizzato, da parte di tutti, del chitarrista e dei teppisti, come istanza moralizzatrice!

E' curioso, infatti, che, tra le mille autogiustificazioni per scagionarsi dalla accusa di pedofilia, Townshend abbia accampato la scusa e il cavillo legale gliela ha sostenuta, di essere in possesso di materiale pornografico hard riguardo a bambini, a scopo di raccogliere materiale scientifico sul problema dell'abuso infantile, per motivi autobiografici.

I teppisti, da parte loro, volevano dare una lezione alla " femminuccia frocetto " perché si normalizzasse a banale adolescente senza troppi strani grilli per la testa se non gli usuali hobby - tra cui l'auterotismo pornografico e il football sono i più consentiti, altro che la danza ! -.

Se mi si consente una battutaccia, qui bisogna dar ragione al caro/odioso Mario Mieli che chiamava, nei suoi scritti, gli eterosessuali " le criptochecche " !, per quanto, ripeto, odioso, nel suo voler tirar l'acqua al suo mulino, ma.. almeno lascia tutti divertiti e l'aspetto controllante della sua aggressività lascia le criptochecche coi piedi sani.!!

A.H. Williams, uno psicoanalista inglese che è tra i pochi ad essersi occupato di quella categoria di pazienti tanto poco presenti nella stanza d'analisi, i delinquenti, nel libro " Nevrosi e Delinquenza" ( Borla ed. 1983), scrive: "Un certo tipo di crudeltà è quello legato al rivivere, con un ruolo invertito rispetto all'originale, un trauma infantile… In questi casi si possono rintracciare episodi infantili, singolari o ripetuti, caratterizzati da uno stato di impotenza del bambino costretto a soffrire senza potersi ribellare. Sembra che la sofferenza venga internalizzata, scissa e quindi riposta in un recesso mentale. Se, per particolari circostanze è " smossa ", tutta la tragedia, capovolta, viene rappresentata nel mondo esterno."

Al bambino Pete/ " Tommy", martirizzato e sessualmente abusato, non è stato sufficiente crescere, avere successo. Affermazione, denaro, una vita sessuale ed affettiva familiare serena ( è sposato, padre di due figli ), non sono bastate. Non sono bastate, quindi, le realizzazioni sul piano narcisistico ed affettivo per poter bonificare quel senso di sofferenza, frustrazione e rabbia distruttiva sperimentato nell'impotenza e passività a sfondo omosessuale vissuta da bambino.

Forse circostanze abbastanza fisiologiche attuali, quali l'invecchiare o il dover solo più consolidare il successo e non poterlo rincorrere ancora, hanno fatto da elemento scatenante per l'emergere della crudeltà sotto forma di pedofilia.

Ai ragazzini del college - tra parentesi, tutti ragazzi di " buona famiglia", studenti di un college esclusivo e costoso, quindi non facenti parte di quella galassia nebulosa dei disastrati sociali, che tende a mettere con la coscienza tranquilla intorno ad una diversa radice di appartenenza la borghesia cui apparteniamo -, ai ragazzini del college , analogamente, seppure su un altro piano ancora, non è bastata l'istruzione scolastica, intesa come possibilità di avere davanti un futuro, per tollerare di esser messi in uno stato di relativa difficoltà dal compagno prodigioso.

Non hanno potuto tollerare di stare in uno stato di spettatori del successo e della differenziazione altrui. Già nella coazione a doverlo prendere in giro e umiliarlo a " femminuccia frocetto " sta un aspetto di sintomo di una difficoltà. Sintomo di una grave intolleranza per la supposta debolezza e sensibilità di un compagno " colpevole " solo di non essere omogeneizzato con le caratteristiche con cui si esprime -per l'adolescente in media e per il razzismo sessuale sociale- la mascolinità.

L'esser stati messi nella necessità di sentire, attraverso la bravura e la sensibilità del compagno, qualche inconscia emozione, l'esser stati messi in contatto con un magma di sentimenti ambivalenti, confusi, interni a loro, intorno alla differenziazione sessuale, penso abbia scatenato un'angoscia e sentimenti di pena intollerabili che hanno agito, in modo distruttivo, capovolti in crudeltà.

Quella crudeltà e criminosità che deriva dalla presenza nel proprio mondo interno di oggetti crudeli introiettati attraverso dolorosissime esperienze infantili - nel caso di Townshend - e quella crudeltà che viene scatenata dall'entrare in contatto con qualcosa di desiderabile ma che appartiene ad altri: Se questo qualcosa è solo un attributo desiderabile, la crudeltà delinquenziale può limitarsi alla depredazione. Se, invece, è tutto un insieme che viene a mettere in crisi la struttura interna stessa del soggetto le cose vanno diversamente e si declinano in modo sempre più pericoloso e distruttivo. E' pensabile che la fisiologica bisessualità e l'emotività ad essa connessa nel periodo della adolescenza e della possibilità, per dei ragazzini, di trarne o meno dei vantaggi per la crescita emotiva, possa aver fatto crescere a dismisura nei compagni di Kris dei sentimenti primitivi intorno all'incapacità di tolleranza degli altri come persone dotate di una loro individualità, che, nei casi migliori, suscita un senso di curiosità e di bellezza, in quelli distruttivi, un bisogno primitivo di togliere di mezzo la differenza che disturba e che fa soffrire, a qualunque prezzo e con qualunque tipo di giustificazione. In questo caso, mentre Kris ha saputo elaborare gli aspetti disturbanti dell'ambivalenza che scaturiscono dalla bisessualità umana,, anzi, addirittura arricchendosene sotto forma di " grazia ", gli altri ne vivono, probabilmente, solo gli aspetti disturbanti, confusivi e devono scinderla nettamente, in una sorta di opposizione: si è solo maschi o solo femmine: Ogni zona più sfumata diviene pozzo di angoscia e va espulsa ed evacuata.

Anzi, così come è talvolta decisivo, per il criminale aggressivo, il provare pena per l'oggetto dei suoi attacchi, decisivo nel senso che il sentimento di pena si aggiunge alla rabbia distruttive e crea un ulteriore fardello per l'aggressore, il quale, per liberarsene, ben lungi dall'essere ammorbidito, decide di eliminare, con l'uccidere, con lo scagliar via dai suoi occhi, l'oggetto che, procurandogli pena, lo fa sentire ancora più sofferente ed incapace, analogamente, il fatto che il piccolo Kris abbia fatto sentire dell'ammirazione ai compagni, deve aver scatenato in loro ancora più intolleranza per i propri sentimenti ambivalenti di fronte alla sessualità e alla differenziazione.

Distruggendogli il piede, lo strumento della sua "grazia", ne hanno punito ed eliminato il mezzo con cui Kris dava loro emozioni di disturbo.

Il compagno ballerino non viveva, evidentemente, la sua parte femminile come una orrenda debolezza di ostacolo alla realizzazione della sua mascolinità. Sublimata a sensibilità e bellezza, questa parte femminile gli dava gioia e, per di più, possibilità di emanciparsi dagli adulti, di individuarsi in un modo che oltretutto gli dava successo ed approvazione da parte degli adulti.

Tutto questo deve aver scatenato invidia ma anche qualcosa di più primitivo: quell'ansia persecutoria intollerabile che deve essere assolutamente evacuata prima che si rivolti contro il sé, portando al suicidio.

Eliminando il piede del danzatore, eliminando la danza come piacere ed espressione creativa della sessualità sublimata, i ragazzini hanno tentato di eliminare il contatto con quelle fantasie bisessuali omosessuali che rischiavano, unite ad un vissuto di inadeguatezza e di confusione e di difficoltà nel lavoro di individuazione/ separazione, rischiavano di diventare una minaccia per il sé.

Creando, come Townshend, un'autogiustificazione alla crudeltà, una razionalizzazione moralizzatrice o normalizzante, hanno colorato la crudeltà distruttiva di uno scopo, diciamo, " pedagogico " e correttivo.

In queste situazioni, sia nella pedofilia che nell'aggressività, tutto quanto produce dolore psichico - la pena, nel caso di Townshend, l'ammirazione e la bisessualità nel caso dei ragazzini, non è vissuto come qualcosa che rende tristi ed angosciati, ma come qualcosa che scatena collera e che va evacuato, o liberandosene col capovolgimento della situazione, o coll'eliminazione fisica del problema e lo scopo di liberarsi è raggiunto con tanta determinazione quanta è la sofferenza mentale che c'è dietro.

A questo punto, crollano i miti.

E si rende sempre più necessario quell'umile e paziente lavoro che consiste nel cercare di stare dentro le situazioni emotive, anche se questo ci fa sentire sempre più incapaci e in difficoltà e senza avere, come l'eroe Tommy, una bacchetta magica che ci faccia vendicare di tutte le sofferenze e i torti e le difficoltà subite.

Forse la vita non è, come dice Shakespeare " una favola senza senso, recitata da un'idiota", forse è solo un realistico venire a patti col nostro narcisismo e col nostro dolore mentale.

Vicini... solo se lontani

La notizia
Adolescenti e telefonini. L'amore virtuale dei ragazzi cresciuti con il cellulare. Telefonini sempre più complessi, giovani e bambini sempre più smaniosi di possederlo per ostentare l'ultimo modello e sentirsi così di far parte del mondo degli adulti. E' stato uno dei regali più richiesti dai bambini dagli otto anni in su, e tanti lo hanno trovato sotto l'albero. (…) Ma al di là dell'essere oggetto di moda, il telefonino sicuramente influenza i giovani nello stile comunicativo e nella relazione con l'altro. Il messaggino ha sostituito il bigliettino e anche la lettera, il linguaggio è sempre più sintetico e per aumentare la capacità comunicativa i ragazzi hanno inventato nuovi codici, utilizzando i diversi segni e attribuendo loro un valore simbolico, ottenendo così in poco spazio fisico una grande possibilità espressiva. Un fenomeno cui assistiamo spesso è vedere un gruppo di giovani che parlano al telefonino o inviano messaggi con un entusiasmo e un'importanza direi prioritaria verso chi è lontano in quel momento, mostrando poco interesse allo scambio o alla chiacchierata con chi è seduto accanto. Questo comportamento non è dettato solo dalla voglia di usare il telefonino o di farsi vedere impegnati in mille comunicazioni, ma dalla possibilità di vivere l'esperienza dell'intimità virtuale. (…) Sta cambiando il tipo di distanza necessaria per favorire il costituirsi di una relazione. L'intimità oggi non è vista come vicinanza, in quanto la difficoltà di manifestare i sentimenti, di verbalizzare e di vincere il pudore e superabile solo stando dall'altra parte del telefonino. L'intimità sembra potersi concretizzare in rapporti che garantiscono la distanza fisica, che proteggono da quel senso di vergogna e timidezza di cui sono portatori i rapporti significativi. Come se lo spazio virtuale consentisse di anestetizzare le emozioni troppo forti presenti in una relazione. (…).
Il Secolo XIX, 4 gennaio 2003

Eraldo Walter Machet Il commento
Più che una vera e propria notizia di cronaca, stavolta resto attratto da questo bell'articolo, la cui apertura è posta in prima pagina, già dal titolo interessante; lo scritto è di Federico Bianchi di Castelbianco, uno psicoterapeuta evidentemente sensibile a tali fenomeni.

Le sue attente osservazioni mi hanno suscitato ulteriori riflessioni che cercherò qui di esprimere.

La prima è più immediata riguarda il fatto che questa modalità di relazione che tanto coinvolge il mondo giovanile è anche presente, in modo consistente, nei rapporti fra adulti. La cosa non deve certo stupire, se è vero com'è vero, che i giovani sono la coscienza epifanica del proprio tempo, come Hegel aveva già acutamente rilevato .

Altra riflessione riguarda questo particolare periodo dell'anno, in cui troviamo su tutti i quotidiani ampi spazi pubblicitari ai telefonini, a volte persino intere pagine e nei negozi di telefonia, di elettronica ed affini, almeno in una vetrina sono messe in bella mostra le più recenti novità immesse sul mercato. Segno evidente che è un articolo che attira molto, indipendentemente dall'età, dal sesso, dal ceto sociale e culturale. Quest'oggetto così richiesto in questo Natale, come osserva Bianchi di Castelbianco, può esser letto come espressione del costante bisogno di comunicare quello che siamo, quello che sentiamo. Può essere inoltre espressione di un bisogno di dare e di ricevere attenzione e amore all'interno della relazione e degli affetti che ci troviamo a vivere. E se così fosse acquisirebbe significato e valore il senso psicologico del Natale, che richiama dentro ciascuno di noi, inconsapevolmente, il ricordo della nostra personale nascita, del nostro essere stati bambini amati ed accuditi in seno ad una famiglia. E che ora, pur con il rimpianto di tutto ciò, finito per sempre, è tuttavia ancora importante dentro di noi rievocare simbolicamente.

Ci sono però troppi segnali che fanno supporre che le cose non stiano proprio così. Tra luci, colori, messaggi audiovisivi, regali, pranzi … tutto in modo così frenetico ed enfatizzato, sembra proprio che nulla più riguardi questa ricorrenza nel suo significato originario (quello religioso) e nel suo significato personale (quello psicologico).

Sembra invece che ci si stia orientando sempre più verso quel mondo che solo il poeta, lo scrittore sa cogliere con immediatezza e profondità e sa suggestivamente descrivere con la sua fantasia.

Mi torna alla mente, a tal proposito, il mondo fantastico di Edwin A. Abbott raccontato in "Flatlandia" (ed. Adelphi, MI, 1993). Un mondo dove emblematicamente i protagonisti sono figure geometriche che vivono e

"si muovono qua e là, liberamente sulla superficie o dentro di
essa, senza potersene sollevare e senza potervisi
immergere, come delle ombre, insomma…".


Un mondo dunque che esclude ogni interiorità poiché l'interno e l'esterno di questi "esseri umani-figure" esiste su piano bidimensionale di lunghezza e di larghezza. Dove assenza di spessore e di profondità non fa che ridurre i rapporti ad un contatto superficiale, ad un aderire all'immagine dell'altro visto e giudicato solo in base alla sua configurazione esteriore. E' questa assenza di spessore che ravviso nell'amore virtuale (appunto!) degli adulti e dei ragazzi "cresciuti con i cellulari". E' assenza di spessore che lascia intravedere il timore di qualsiasi forma di emotività, la paura di entrare in uno stato d'animo di fronte all'altro e di poterne o non poterne uscire. Necessariamente in un contesto del genere il contatto non avviene che attraverso l'udito, a Flatlandia come nel mondo degli umani, dove già dal particolare input musicale o sonoro del cellulare si può individuare chi chiama e scegliere se mettersi o no in comunicazione. Ma, ancor più, è attraverso la vista complice, non a caso, la nebbia che il mondo di Flatlandia permette di distinguersi e di presentarsi, come nel nostro mondo attraverso l'SMS o la foto, opportunamente selezionata, che ora è possibile trasmettere. Ma dove, ancor più suggestivamente, Abbott è riuscito a cogliere il terrore di riconoscere ed accogliere la propria emotività e di comprendere quella dell'altro, dunque di entrare anche in una "terza dimensione " è in Linelandia, l'altro mondo interno al primo, dove:

"l'unione non ha bisogno della vicinanza; e la nascita dei figli è
cosa troppo importante per dipendere da un caso come la
contiguità (…) i matrimoni si consumano mediante la
facoltà di emettere suoni, e mediante il senso dell'udito. (…)
tastarsi, toccarsi, entrare in contatto (…) è punibile con la morte",


dice il Re al protagonista del racconto. Siamo nel mondo che spesso incontriamo nei nostri pazienti, ma anche nei rapporti di vita quotidiana, dove vediamo un maggior livello di sofferenza, una mancanza, se possibile ancor più accentuata, di interiorità ancorché bidimensionale e dove quasi nessuna emozione è possibile lasciare affiorare, forse neppure a grandi distanze. Ma il massimo della sofferenza, della solitudine, del narcisismo, della follia si ritrova in Pointlandia, ultimo mondo che si può scorgere anche in questa nostra realtà di "amori virtuali", dove in un baratro adimensionale esiste solo il Punto.

"Egli stesso è tutto il suo Mondo, tutto il suo Universo; egli non può
concepire altri fuor di se stesso: egli non conosce lunghezza, né
larghezza, né altezza, poiché non ne ha esperienza; non ha
cognizione nemmeno del numero Due; né ha un'idea della
pluralità, poiché egli è in se stesso il suo Uno e il suo Tutto …".


Un'ultima riflessione ancora porterebbe a chiederci da dove nasca questa impossibilità drammatica di concepire una vicinanza emotiva e fisica alle persone, soprattutto a quelle che più si amano: la risposta ci porterebbe ora troppo lontano. E' comunque un dato ormai ampiamente acquisito che vi sia una continuità nella vita emotiva che si rinnova nelle scelte d'amore compiute da ciascuno di noi. Tutti i desideri di affetto, di intimità, di amore, soddisfatti o meno durante i primi anni di vita, sono diretti sul nuovo oggetto d'amore. Questi sarà vissuto, in ragione di tale trasferimento, come la fonte di ogni bene, ma anche come l'origine di ogni male e di ogni mancanza. Ecco perché l'amato assume agli occhi di chi ama un'importanza enorme. Ed ecco perché la persona che più si ama è la stessa che più si teme. Quella gioia appena intravista di unione con l'altro, infatti, si può trasformare ben presto in dipendenza, possessività, vincoli: essere vicini … solo se lontani, è sentito allora come l'unica strada percorribile.

La vita in un pugno di CD

La notizia
Dal 3 al 6 dicembre si tiene a Juan Les Pins il Convegno internazionale dell'Association for Computing Machinery, dove Gordon Bell e Jim Gemmel, ricercatori della Microsoft, presenteranno i risultati di un esperimento relativo alla trascrizione su computer di dati che riguardano l'esistenza di una persona.
La Repubblica, 2 dicembre 2002

Nicoletta Massone Il commento
Ogni dimenticanza verrà abolita.

Questa è la scommessa di Gordon Bell e Jim Gemmel, ingegneri del laboratorio della Microsoft a S. Francisco, che si propongono di raggiungere un risultato così ambizioso, registrando su computer tutti gli avvenimenti della loro via: appuntamenti, nomi e storie delle persone conosciute, brani musicali, libri letti, spettacoli teatrali e film che si sono visti, ecc. “Immaginate di essere in grado di fare una ricerca tipo Google su tutta la vostra esistenza”, dice entusiasticamente Bell, con la possibilità, ad esempio, di conoscere in ogni momento non solo il titolo di una rivista momentaneamente dimenticata, ma anche il luogo dove la si comprava, gli articoli letti di maggior interesse, le suggestioni che sono state utilizzate e il quando tutto questo è successo. “In fondo – osservano i ricercatori – il computer non ha bisogno di dimenticare e quindi perché privarsi di un dato che, forse, un giorno potrà tornare utile, dal momento, tra l’altro, che conservarlo non costa niente?” Questo è, in effetti, un ulteriore aspetto: il materiale che ospita i dati è molto capiente e molto economico. Per fare un esempio, se si registrasse tutto quello che si ascolta in una esistenza lunga 80 anni, si riempirebbero solo 40 GB, ossia una parte molto piccola di un CD vergine. Dunque, perché no? Così le fastidiose amnesie che spesso ci lasciano esposti ad un nulla di significato e di assenza, potranno essere agilmente saturate da un rassicurante rumore di tasti che, tempestivamente, provvede a colmare ogni distanza. Perché no? Costa anche poco. E si può registrare tutto.

“Il PC – dicono ancora Bell e Gordon – potrebbe contenere copia anastatica della nostra esistenza”. L’idea, in origine, era venuta ad uno stretto collaboratore del presidente degli Stati Uniti, Frenklin Delano Rooselt, che aveva immaginato di potersi servire di un archivio ben strutturato, completo e versatile, della propria esistenza, in modo da essere provvisto in ogni momento di tutti i dati necessari. In effetti, il progetto può affascinare: mai più parole “sulla punta della lingua”, non più il senso di un incedere claudicante, sul crinale di una consapevolezza dolorosa di incompletezza.

Dove va quello che non torna in mente? Le parole, ma anche i paesaggi e i volti, gli occhi e le mani? Possibile che la nostra vita svanisca in questo modo lieve, inesorabile, assoluto? Senza nemmeno rendercene avvertiti, i giorni si congedano da noi con indesiderata discrezione e si portano via per sempre i colori, i baci e le lacrime. Finiamo per sparire del tutto a noi stessi, inghiottiti da un tempo indifferentemente uguale per tutti nel suo silenzio misterioso.

D imenticare non è bello quando diventa immagine di una caducità che ci contamina e che ci attende. La copia anastatica della nostra esistenza, dove nulla va perduto, e tutto è sempre contemporaneamente disponibile e presente, può forse consolare il nostro smarrimento che parla, invece, di perdita e di abbandono. Ma è poi davvero una consolazione?

A dire la verità, anche se ricordiamo, anche se lo facciamo con la maggior precisione possibile, nessuna accuratezza riuscirà a rendere effettivamente presente l’oggetto del nostro ricordo. Né a scacciare la pena per una perdita intollerabile e per una solitudine che sembra sostanziale al nostro esistere. Forse l’idea del “cervello di scorta” cerca di alleviare l’inquietudine con l’illusione di una autosufficienza assoluta: ricordiamo tutto quello che ci è accaduto, che ne impadroniamo, lo inscriviamo nella materia, in un pezzo di materia da portare persino in tasca, sempre con noi, leggibile dalle tecnologie future, immortale. Nessuno si permetterà più di passare per la nostra vita accendendola di desideri e speranza, per poi andarsene lasciandoci solo la desolazione del silenzio, dell’abbandono, del fallimento. Ci prendiamo tutto prima, anche l’emozione del nostro cuore, e la portiamo in un luogo non deteriorabile, sempre a nostra disposizione per tutte le volte che ne avremo bisogno. Non ci capiterà mai più di attendere qualcuno che non viene, non vogliamo conoscere l’ingiustizia e la lacerazione della mancanza. Non ci fidiamo di nessuno perché proprio tutti ci possono ferire, non ci fidiamo nemmeno di noi stessi, così poco attendibili, imprecisi e fragili. Cosa vogliamo raggiungere? Forse possiamo tentare di dimostrarci che la memoria è solo questo: una semplice registrazione di dati. La nostra mente, quasi pellicola fotografica, si impressione agli input luminosi che la raggiungono e registra dei dati. Realizza fedeli riproduzioni. Ma sappiamo quanto questo non sia vero.

Ricordiamo in modo discontinuo, infedele, impreciso, a volte anche cosa mai accadute. Certamente ricordiamo, invece, qualcosa che ci ha catturato emotivamente: quel Natale quando i regali sotto l’albero ci hanno resi certi dell’esistenza di Babbo Natale, una risata inaspettata e travolgente che ha riempito di sé case e strade e piazze, uno sguardo sfuggente e un po’ ambiguo che abbiamo saputo solo dopo che era l’ultimo sguardo. Nel tentativo di descrivere, verrebbe voglia di raccontare, tenere conto dei mille particolari perché tutti, improvvisamente, ci sembrano importanti, addirittura irrinunciabili. Altrimenti non si può capire. Il ricordo, così, si rivela essere un precipitato complesso di elementi che contengono un significato irrinunciabile per noi, un senso che ha costituito la nostra storia e quello che noi siamo. Un senso, poi, mai compiuto definitivamente, che sembra sempre sfuggirci nella sua interezza quanto più ci affanniamo a raggiungerne la sostanza ultima. A volte pensiamo e ripensiamo ad un fatto e questo, invece di sciogliersi e chiarirsi, si apre ad una infinità di ulteriori significati. Tutto questo, però, può essere certamente destabilizzante per noi. Una memoria che non è fedele riproduttrice di realtà, ma che invece si attiva sulla base delle nostre emozioni e dei nostri desideri, sembra abbandonarci ad una non attesa consapevolezza: non siamo incontrovertibilmente legati ad un mondo esterno chiaro, visibile ed oggettivo che ci determina, ma è piuttosto la realtà interna così contraddittoria, violenta e fragile, imprecisa e dolorosa, a motivare i nostri comportamenti e la nostra vita. Dice Bion in Attenzione ed interpretazione:

“La minaccia è sentita derivare dal fatto che tale soppressione (del rapporto con il mondo oggettivo) sconvolge l’esperienza fondata sui sensi, che costituiscono la realtà familiare di ogni individuo […] Tale soppressione sembra anche vicina a ciò che accade nei pazienti gravemente regrediti.”

E’, forse, allora il timore della follia quello che ci coglie, nel momento in cui ci scopriamo stranamente, a volte anche incommensurabilmente, lontani dal mondo che pure abitiamo. D’altra parte, nello scoprire sempre più e nel fare nostri i diversi significati di ciò che ci appartiene, realizziamo una possibilità autentica di arricchimento e di maturazione. Il nostro modo di funzionare, di cambiare e di crescere, è diverso da come ce lo eravamo immaginato, decisamente meno rassicurante del previsto e del desiderato.

Il colore dell'anima

La notizia
Allarme tra i ragazzi francesi. Il gioco mortale del sogno blu. "L'ultimo l'hanno seppellito lunedì, a Seingbouse, Mosella. C'erano i suoi compagni di scuola, il sindaco, la sua insegnante che ha detto poche parole: "Era un ragazzo molto buono: chi poteva immaginare?" E invece l'ha fatto: aveva 12 anni, l'hanno trovato quasi appeso al letto, nessun messaggio. Suicidio? No, "le reve blue, il sogno blu…
La Stampa, 4 dicembre 2002

Maurizio Lo Faro Il commento
L'articolo continua descrivendo come accada che alcuni adolescenti si stringano attorno al collo un foulard, una cintura, uno straccio, qualsiasi cosa possa servire come ponte verso uno stato vissuto come paradisiaco: il respiro si blocca, il cuore si ferma, il cervello si annebbia, la coscienza vacilla in una specie di flash e intanto si vede cosa c'è dall'altra parte e si torna a raccontarlo. Quando si torna.

Da queste brevi frasi sembra percepirsi il tentativo di recupero di una dimensione lontana; possiamo pensare all' "anima", che viaggiando a ritroso torna in una sorta di paradiso perduto; l'esperienza sarà poi comunicata a pochi eventuali eletti, coloro che hanno assistito e aiutato il prescelto nel suo viaggio.

Ora, l' "anima" in una lettura simbolica non strettamente cristiana può essere considerata come il contenitore delle emozioni, degli affetti, dei sentimenti; è attraverso essa che percepiamo, sentiamo, amiamo e soffriamo. Ci si può chiedere, allora, se i ragazzi che sentono il bisogno di provare delle sensazioni così laceranti e così dolorosamente intense e vicine alla morte, non lo facciano a causa del loro sentirsi come anestetizzati, funzionare come se non riuscissero a trovare la manopola dell'intensità delle loro emozioni e degli affetti.

Come suppellettili, oggetti contingenti, possono accorgersi che il mondo intorno a loro si muove, che il tempo passa, le cose cambiano, alcune persone provano qualcosa per altre, ci si ama, si gioisce, si soffre…

Essi, invece, possono sentirsi ancorati a terra, impossibilitati anche ad urlare la propria disperazione e il proprio bisogno di affetto e aver perso la speranza di provare, un giorno, qualcosa che possa risvegliarli da questo torpore.

Un'esperienza come il "sogno blu" può allora scuotere colui che può percepirsi come un ragazzino inutile ed impotente, ci si può sentire per un momento fuori dal passato reale e senza preoccupazione per il futuro: i muri crollano, l'orizzonte si allontana; ci si perde nell'infinito. Il sole sembra esistere per riscaldare solo il soggetto che turbina immobile fino ai confini della Terra; non più una coscienza vacante, uno sguardo astratto ma l'evaporare nell'azzurro, non avere più confini…

La ricerca di un' "anima" siffatta che contenga le emozioni di cui ci si sente deprivati si trasforma però nel ritrovarsi con un'anima dannata che costringe la persona ad avvicinarsi sempre di più alla morte nel tentativo paradossale di non sentirsi morti.

Un viaggio a ritroso così artificiosamente costruito ci fa pensare alla nostalgia di qualcosa: prima di venire in questo grande mondo, ognuno di noi è stato in un altro mondo, il grembo materno e ciò ha creato nell'animale-uomo un desiderio fusionale struggente di recuperare la precedente vita vegetativa. In questa vita non vi era respiro e immerso nel liquido amniotico il feto provava la sensazione onnipotente di nuotare in un azzurro oceano, si tuffava nel bene più profondo e nel sonno più riposante. Lo stato intrauterino può, a ragione, essere rappresentato come il bene totale; la sua condizione viene, però, spezzata dall'evento della nascita e la separazione può suscitare un sentimento di mancanza e un desiderio di ricongiungimento. Quest'ultimo viene nostalgicamente ricercato nei rapporti affettivi: attraverso gli affetti e l'espressione della sessualità esiste la possibilità di vivere con la persona amata quell'unità fusionale che sembra perduta per sempre ma che esiste come speranza di poter dare e ricevere amore che è contenuta nell' "anima".

Se le esperienze affettive di un essere umano sono tali da non realizzare il suo desiderio d'amore egli potrà sentirsi impotente, impossibilitato a vivere le connotazioni emotive di ogni rapporto che vivrà: la sua "anima" svuotata da ciò che gli è essenziale sentirà il bisogno onnipotente di ricongiungersi con un paradiso perduto artificiale. L'onnipotenza sarà vissuta nel bisogno impellente di rivivere la fusione originaria con la madre: ma l'inganno mortale si esprimerà attraverso un intrappolamento; ciò che dà questa sensazione: la mancanza d'aria, il senso di soffocamento, il brivido che frantuma ogni barriera è quello che trascinerà il soggetto verso una discesa agli inferi senza ritorno, nell'illusione di essere forti poiché si decide anche l'attimo della propria morte.

Chi poteva immaginare? Già: dei ragazzi nessuno si immagina mai niente.

Il conflitto estetico e le buone soluzioni politiche

La notizia
"Cinque miliardi per la cultura". Più mezzi per i beni culturali. "La legge Finanziaria prevede di destinare al settore il 3% degli investimenti dello Stato per le infrastrutture del Paese -spiega il Ministro Giuliano Urbani -. E' la prima volta che in Italia accade una cosa del genere e, se la legge passerà all'esame del Parlamento, si può calcolare che nei prossimi otto anni saranno disponibili almeno 5 miliardi di euro per monumenti e luoghi archeologici, una cifra più che doppia rispetto al passato."
Il Sole 24 Ore, 23 novembre 2002

Antonina Nobile Fidanza Il commento
Che bello! Mi verrebbe da commentare a caldo. Finalmente ci rendiamo conto a livello governativo dell'importanza di prendersi cura del patrimonio artistico italiano. La lettura dell'articolo, decisamente elogiativo dell'iniziativa, mi incuriosisce, sia perchè è su "Il Sole 24 ore", sia perchè sembrerebbe una lodevole proposta sostenuta esclusivamente dal mecenatismo e dalla filantropia dei privati.

Ci sarà un vantaggio economico? Per il Ministro non deve esserci, almeno in via diretta. "Non voglio mercanti nel tempio -ha tagliato corto Urbani- l'unico obiettivo a cui deve mirare un privato è il prestigio che, la storia insegna, porta sempre dei ritorni indiretti: sarebbe sbagliato guardare alla cultura con una mentalità mercantile". Excusatio non petita accusatio manifesta, direbbe un collega. Infatti al di là della gestione delle biglietterie e delle librerie è la detassazione senza limiti per i capitali investiti nel campo dei beni culturali, che sicuramente non passerà inosservata a Banche e Imprese.

Poiché tuttavia io non mi intendo di economia né, in modo particolare, di arte mi chiedo perché sono stata attratta da questo articolo.

Cosa tocca sul piano emotivo questo tema della salvaguardia dei beni culturali?

Nientemeno che il tema molto complesso e delicato della bellezza e della memoria.

Spesso la memoria è scomoda oppure facilmente la si perde in un rimaneggiamento continuo da "1984", dove impera il Grande Fratello che, prima di un tormentone voyeuristico televisivo era il l'occhio onnipresente di un romanzo sulla negazione della storia e del tempo, a fini di dominio e potere sulle menti ingenue dei cittadini di quel paese felice.

D'altro canto la bellezza può generare sconcerto, timore reverenziale o invidia distruttiva. In psicoanalisi il conflitto estetico da una parte e la costruzione e ricostruzione continua della memoria sono due temi cruciali.

Il rapporto con la bellezza dell'opera d'arte (che ha il suo fondamento nella contemplazione estatica dell'oggetto primario) genera nel fruitore da un lato la speranza di vedere la propria interna bellezza specchiata, dall'altro il timore di confrontare la propria disintegrata realtà interna con la perfezione restandone schiacciato.

Quindi il singolo può esporsi a suo piacimento o evitare l'impatto con l'arte a seconda della sua modalità difensiva.

Nel momento in cui un'ottica economica investe il patrimonio dei beni culturali di un paese, quale l'Italia, che abbonda di vestigia storiche ed artistiche, è probabile che sia necessaria la pubblicizzazione sempre più vasta del 'prodotto' culturale. Per cui la sensibilità del fruitore viene guidata, ma non per questo stimolata correttamente rispetto a tutti i dati necessari per rendere più complesso e differenziato il godimento estetico.

Si può giungere facilmente o all'imbarbarimento del gusto o al vandalismo quando l'attesa conflittuale con cui ci si accosta all'arte, si scioglie, e perverte il significato del rapporto tra mondo interno e realtà esterna. Per cui è buono e idealizzato ciò che è interno foss'anche violenza e distruttività ed è cattivo e minaccioso ciò che è esterno anche la statua immobile o un dipinto appeso.

L'Idealizzazione dell'Italia come paese dell'arte da parte di inglesi e tedeschi è ormai datata ma mi piace ricordare una psicoanalista Paula Heimann che scrive: "Era sera, mi trovavo a Venezia, la luce era fantastica; l'imponente palazzo del Doge appariva come un velo fatato senza sostanza, fluttuante nell'aria, una visione da togliere il fiato. Né prima né dopo ho mai visto una luce simile. Tra le varie persone che passeggiavano lungo il Canal Grande c'era una giovane coppia e il padre teneva tra le braccia il bambino, felicemente addormentato, con la testa posata sulla sua spalla. Ho pensato che questi bambini erano destinati a cogliere la Bellezza nei loro sonni, al sicuro nella comunanza con i loro genitori, e l'amore per la Bellezza dell'Arte e della Natura diventava una parte integrante della loro crescita psichica."

Questa visione romantica dell'iniziazione degli italiani alla Bellezza può oggi sembrare ingenua, ma è comunque lusinghiera. Essa dipende da un particolare modo di concepire il rapporto col bello in psicoanalisi.

La capacità di contemplare la bellezza dipende dalla possibilità di considerare la bellezza del proprio funzionamento psichico, tra inconscio senza tempo e realtà che scorre nella storia. La psicoanalisi, che è sostanzialmente un lavoro sulla memoria, ci insegna a destreggiarci alternativamente tra 'l'eterno presente' della nostra vita interiore e la tragica clessidra che ci ricorda la nostra finitezza. Freud ci mise decenni prima di potersi davvero accostare alla visione di Roma, città non a caso detta eterna, con la sua compresenza di tutte le epoche storiche e la angosciante consapevolezza che quello che c'era non c'è più, e pure qualcosa è ancora lì.

Nella soluzione per la salvaguardia del patrimonio artistico del nostro paese elogiata dal "Sole 24 Ore", si dichiara implicitamente l'insufficienza della tutela pubblica. Del resto il cittadino italiano medio, pur immerso in cotanta bellezza, poco si preoccupa se la "buona" soluzione politica sia più o meno vicino alla verità delle esigenze di tutela o non sia un buon modo di prendere due piccioni con una fava. Pubblicizzare, da un lato, non tanto le bellezze artistiche bensì la "bontà" di Banche e Imprese che devolvono parte del loro "sudato" patrimonio per elevare lo spirito dei cittadini. Dall'altro creare Fondazioni quali serbatoi di capitali non tassabili con un evidente profitto indiretto.

Senza demonizzare la privatizzazione di tutte le risorse del nostro paese, forse c'è da chiedersi se di compromesso in compromesso non si rischi dei perdere del tutto la capacità di considerare Bello ciò che anche Vero, nella corrispondenza tra interiorità ed esteriorità.

Tale rischio si potrebbe configurare nell'appiattimento del gusto per cui la quantità sostituisce la qualità e, contemporaneamente, nella desensibilizzazione all'arte per cui nulla ci arricchisce davvero confermandoci la bellezza del nostro funzionamento psichico, perché semplicemente non lo sappiamo; altra propaganda ci parla di geni, neuroni ecc. che ci governerebbero a nostra insaputa togliendoci la più delicata delle nostre funzioni la capacità di godere della bellezza.