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Sogni bianchi, sogni neri

La notizia
"Ogni notte sogno le pietre ", di Anais Ginori
La Repubblica, 8 ottobre 2002

Floriana Betta Il commento
Mi ha colpita, questo articolo, perché riporta un sogno, un incubo.Quello di Amina, la donna nigeriana che attende, entro il 2004, di essere lapidata. Per adulterio.

Come psicoterapeuta, mi occupo di sogni.

Dare un senso all'inconscio.

Come donna, certo di una condizione totalmente diversa e, diciamolo, privilegiata anni luce al confronto, mi sento vicina alla sognatrice.

Come figlia di deportato dei nazisti, ricordo i risvegli di mio padre, che divenivano i risvegli di tutta la famiglia, quando, nell'incubo, urlando, riviveva le torture naziste.

Ho quindi tre buoni motivi per riflettere…pensieri tristi, rabbiosi, indignati.

L'articolo riporta che Amina, la quale è in vita, al momento, solo grazie al dover allattare la figlia nata da questo reato, sogna.

Sogna di essere lapidata.Di non avere possibilità di fuga.

Forse spera, almeno in sogno di poter trovare un'elaborazione, una vitalità dopo tanto annientamento? Se così è, non la trova.E' una faccenda in elaborabile. Da quel che trapela dall'articolo, tra analfabetismo, ignoranza e violenza, Amina non mi pare riesca ad avere neppure più forza per la rabbia.Se fosse un'europea, si potrebbe dire che soffre di una sindrome di Cotard, la dolorosa negazione di ogni vita, la dannazione ad un'immortalità di sofferenza.

Ma europea non è. E, mi pare, la sua sofferenza sia non uno stato di malattia, ma una condizione così stabile da presentarsi come fisiologica. Infatti, l'articolo riporta che solo appena venuta a conoscenza di cosa fosse la Sharia e di cosa le comportasse l'essere rimasta incinta di un uomo che è scappato negando tutto, solo all'inizio Amina era stata male, vomitava e non mangiava, finendo all'ospedale.Ora sembra un personaggio quasi siderato dalla violenza, quasi passiva, senza rabbia e senza emozione.

Solo il sogno, in cui viene lapidata, quasi ogni notte, ci dice qualcosa del suo terrore.

Possiamo, qui, dare l'interpretazione freudiana dell'incubo come, malgrado tutto, un soddisfacimento del desiderio, dato che, al risveglio, Amina può dirsi "non è vero "- almeno per il momento -

Possiamo dare l'interpretazione dei sogni traumatici, in cui si tenta di riportarsi al trauma, per trovare una via di rimedio nell'oggi, non avuta ieri?

Stiamo parlando di un sogno, quindi della " via regia " dell'inconscio..ma possiamo ancora parlare di inconscio, o solo di una violenza abbacinante che scompagina la possibilità di pensare?

Non voglio affatto aprire un dibattito di psichiatria transculturale.Vorrei prestare parole ed emozioni ad Amina, e alle donne come lei, e alle donne come Aileen Wornos, prostituta lesbica americana giustiziata in Florida il 9 ottobre 2002- per sette omicidi di clienti, vittima della violenza civile, made in U.S.A., per la quale donna nessuna associazione, nessun prelato ha mosso un dito. A differenza dell'altra unica donna finita sulla sedia elettrica, accompagnata, però, da un vasto movimento di indignazione pubblica, perché di aspetto fragile, biondino e seduttivo, Aileen è lesbica, non pentita, aggressiva: odia gli uomini. Crepi in silenzio, quindi.

Prestare parole alla quattordicenne Desiré, accoppata dai coetanei, e dalla pornografia allettante della rabbia degli sfigati, e dalla pornografia di noi adulti di oggi, che spacciamo per libertà sessuale la nostra mancanza di responsabilità spirituale.

E di mancanza di spiritualità si tratta anche per la lapidazione.Una violenza che comincia prima.nella concretezza di quella legge paranoidea che caratterizza la Svaria, l'occhio per occhio, dente per dente. Lapidazione, mani mozzate per il furto, flagellazioni..Un'inondazione di concreto che toglie spazio, direi aria, al pensiero.

La violenza comincia dalla reintroduzione di questa Svaria per la legge islamica nel 2000 - mentre da noi si festeggiava il millennio.

Colla reintroduzione della pena di morte punitiva e atroce per il reato ( ? ) di adulterio.

Questo reato deve essere suffragato dalla testimonianza di quattro uomini, per ogni membro di sesso maschile mancante, ci vuole la testimonianza di due donne.

Vale a dire, altra violenza, questa, soffusa: la testimonianza di una donna vale la metà di quella di un uomo.

Oddio, in Italia, il voto femminile è conquista del Partito comunista solo dal 1946. Dopo lungo dibattito, oltre tutto. Ma il voto, mi si può dire, è già parlar di lusso, rispetto a quello che patisce la donna in Nigeria.

Violenza ancora: a beffa della spiritualità, tra un lancio di pietre e l'altro, si recitano i versetti coranici.

La storia di Amina - che, purtroppo, è una delle tante, non l'eccezione! - comincia nella paura e nell'abuso. Infibulata. mutilata. sposata a dieci anni, non sa quanti anni dopo abbia avuto il primo figlio. Poi, altri due. Il marito la ripudia. E si tiene i suoi tre figli. Lei torna alla casa del padre. Incontra un altro uomo, che la mette incinta, poi sparisce.

La polizia non indaga, la condanna e basta , eppure, mi par chiaro che non può essersi messa incinta da sola. Non è mica Madonna, o le altre super donne dei figli in provetta, questa qui. - a proposito di violenza, pornografia, onnipotenza e spiritualità! -

Amina non era neppure a conoscenza della legge islamica: fino al 2000, non era in vigore! Non sa neppure chi sia Clinton , né chi sia l'altra nera che ha scampato di recente la stessa pena.

Il suo sogno è quasi infantile nella sua monotona semplicità - lo sogna ogni notte -e rimanda alla silenziosa disperazione di chi è ucciso e di chi uccide, di chi non è amato e di chi non riesce ad amare: un senso di disperazione insopportabile, una solitudine, una provvisorietà fatale: la cancellazione annunciata.

.Soprattutto la sofferenza di un'impotenza assai grande di fronte a qualcosa che non si può neppure chiamare distruttività, perché fa parte di una cultura, di un'atroce modo di mascherare a religione quello che è solo abuso, o malcelata forma di amore protettivo? Ricordo una madre, portata in Psichiatria, anni fa, perché aveva ammazzato a colpi di mestolo la bimba implume che ne aveva deluso le aspettative. Doveva mangiare tutto, Tutta la pappa. Perché doveva crescere. Per amore ( ? ) questa madre ne aveva fatto polpette.

Questa Sharia, questa legge islamica , imposta dal maschile attraverso le madri, le anziane, a loro volta mutilate e torturate e appiattite ed annientate è forse , come il mio esempio della madre polpettante,una forma di protezione e di amore? Queste storie che legano le madri alle figlie, le bimbe alle anziane - i maschi non assistono mai all'infibulazione, ne sono artefici di sfondo, un setting della violenza inapparente -, queste storie sono violente come una passione.

Le mutilazioni inferte al corpo della bambina - come quelle inferte al loro proprio corpo, da bambine - sono inferte ad un corpo femminile, perché accarezzarlo sarebbe un peccato d'amore… La madre infibula la bambina per tenerla lontana, perché forse quel corpo che le somiglia , tuttavia non le appartiene e vuole sapere che esiste perché solo deformandola e mutilandola ritiene di farla essere ? O in questa deformazione della figlia bambina può esser trovata la giustificazione della madre all'aver accettato questa violenza non come tale, ma come destino.Queste madri violate dai padri patriarchi, che le rinchiudono, le velano, le isolano, le iniziano a piaceri esclusivamente maschili, mai condivisi, mai condivisibili - l'infibulazione è la concretizzazione della sessualità femminile castrata , non solo fantasia dell'afanisi, concreta afanisi per sempre - forse cercano, nel perpetuare l'orrore sulle figlie, di annullare, di rendere non avvenuta la violenza che le ha rese senza radici, sradicano altre vite.

Aileen Wormos, la prostituta killer, figlia violentata e abbandonata, donna omicida , e Amina sono entrambe due condannate a vita e, poi, a morte: per il delitto di aver avuto sentimenti, oltre che pratiche, impropri.Per non aver solo subito.

Quindi, se fossi in seduta, con Amina e le dovessi interpretare il sogno, che dirle?

La cosa inconfessabile che, leggendo di questa vicenda, mi è venuta in mente è che la psicoanalisi si fermi davanti alla Sharia islamica. Come un 'auto senza benzina, come una vita senza amore. Perché di amore, in questi riti religiosi patriarcali, non riesco a vederne. Meglio, mi sembrano, gli antichi cinesi che sopprimevano le figlie femmine alla nascita, come eliminazione e del problema delle bocche da sfamare e come anticoncezionale sulle lunghe. In fondo, risparmiavano loro una lunga penosa tortura.

La psicoanalisi si ferma e può solo partire un tentativo, politico, femminista, che sottragga queste donne alla manipolazione che le sottrae e le estrania da sé ?

O la psicoanalisi può tentare di contenere questo orrore, col cercare di dargli parola, di far parlare le pietre, sostenendo la speranza che qualcosa, lentamente, cambi e trasformi questi giochi di potere familiari e tribali in pensiero.

Forse. Contenere questo dubbio è già, paradossalmente, tentare di elaborare una pensabilità, per quanto futura.Forse è di una qualche utilità occuparsene, non negare l'evidenza emotiva di queste cose, allontanandole da noi come fatti distanti che non ci riguardano.Forse è utile sentirsi tanto impotenti e tanto addolorati.con una confusione, la mia, persino sull'utilità della mia professione, scardinata dalla violenza di quel che mi accade vicino.

Del resto, quando lavoriamo con pazienti paranoici, assolutamente violenti nella loro fraudolenta protervia di insegnare a tutti ciò che è giusto - secondo loro, beninteso, - mentre loro stessi tendono a non assumersi mai una responsabilità, giustificandosi all'infinito mentre sono spietati con gli altri,non siamo molto lontani dal cimento che ci portano questi fanatici islamici con i loro privilegi di maschi a cui tutto è lecito, mentre le donne vengono annientate in nome del Signore.

Davanti ai pazienti paranoici non penserei che la psicoanalisi si ferma.

Forse è la concretezza politica, gruppale, che spaventa di più in queste vicende della legge islamica.

Comunque, spaventa moltissimo.

Alla fine di queste righe, forse sono arrivata vicino al sogno di Amina: spaventata e ferita nelle mie certezze.Che sia questa vicinanza l'elaborazione?

Perché la guerra?

La notizia
Alcuni articoli della sezione Primo piano de "L'espresso" affrontano il tema della guerra all'Iraq esaminando la posizione di Bush ("La pace nasce dai missili"), i dubbi nella Casa delle Libertà ("Siam di destra e pacifisti"), le riflessioni di Formigoni ("Ma Saddam non è Hitler"). Il settimanale propone anche una copertina titolata "I padroni della guerra", in cui campeggiano quattro personaggi: il segretario di Stato Colin Powell, il vice presidente Dick Cheney, il presidente Bush, il consigliere per la sicurezza Condi Rice.
L'Espresso, 10 ottobre 2002

Mariella Torasso Il commento
Gli articoli citati confermano l'impressione di determinazione e il crescendo di argomentazioni favorevoli alla guerra che i mass media da tempo attribuiscono quotidianamente alla Casa Bianca e ai relativi portavoce: "Come Napoleone Bonaparte 200 anni fa, George W. Bush vuole portare la libertà nel mondo sulla punta delle baionette" (L'espresso nr. 41, W.Goldkorn, p.32). Ma alle certezze di chi prepara "una marcia trionfale nell'universo musulmano e nel mondo" (ibidem, p.34, parole attribuite al consigliere per la sicurezza, appunto…) si contrappongono i dubbi e le contrarietà di quanti si interrogano sulle ragioni della guerra.

Già nel 1932 Einstein, sollecitato dall'"Istituto internazionale per la cooperazione intellettuale" (emanazione della Società delle Nazioni), aveva coinvolto Freud in un dibattito epistolare sul tema.

Einstein si interrogava sulla possibilità di liberare gli uomini dalla fatalità della guerra e si chiedeva cosa mai rendesse così vulnerabile una massa asservita ad una minoranza decisa a vedere nella guerra un'occasione per promuovere autorità e interessi personali.

L'intervento di Freud adottava il punto di vista psicoanalitico per inserirsi nelle argomentazioni (rilanciando peraltro temi già affrontati dal 1915 al 1929); dopo aver concordato con Einstein circa l'opportunità della costituzione di un organismo sovranazionale di pace dotato di potere, Freud proponeva il potenziamento di Eros contro la pulsione di morte e l'educazione di una "categoria di persone elevate dotate di indipendenza di pensiero", in grado di guidare la massa e di tenere sotto controllo la vita pulsionale dell'umanità.

Al di là del risvolto consapevolmente utopistico del percorso proposto, alcune considerazioni di Freud sull'essere pacifista non mancano di farci riflettere. Il rifiuto della guerra per un pacifista ha carattere costituzionale, organico, e non solamente intellettuale, affettivo perché la guerra contraddice prepotentemente all'organizzazione psichica raggiunta con il processo di civilizzazione. La guerra è totalmente altro rispetto alla preminenza dell'intelletto sulla vita pulsionale e rispetto all'interiorizzazione dell'aggressività che il percorso di civiltà ci ha portato - con le sue conseguenze non sempre positive. "Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti?" si chiedeva Freud nel settembre del 1932.

Una settantina di anni dopo non possiamo sottrarci al flusso di immagini e di notizie che la guerra mass-mediatica rovescia nelle nostre case. Possiamo fingere di essere indifferenti - anche per difenderci dall'angoscia - e rifugiarci in una posizione regressiva ("tanto le decisioni passano sopra la mia testa di semplice cittadino…"), ma il nostro inconscio sicuramente registrerà l'impatto violento delle immagini di sofferenza e di morte e forse ci rilancerà la domanda: perché?

Wotan, l'antico "dio d'impeto e di bufera", potente incantatore e illusionista dello spirito germanico, risvegliatosi - nella lettura di Jung - a distruggere gli ideali di un'epoca e a proporre un ritorno al passato, forse sta assumendo archetipicamente nuovi volti in nuovi luoghi. Per riprendere l'immagine di Jung (1936), come un vecchio fiume scomparso nelle viscere della terra ritorna improvvisamente nel suo letto, così si può ridestare pericolosamente dagli abissi dell'inconscio quella parte ombra che l'uomo non sa più riconoscere come propria.

Consapevoli dell'urgenza di ridurre la distanza tra mondo interno e mondo esterno, si desidera suggerire la lettura dell'interessante testo di Nicole Janigro, La guerra moderna come malattia della civiltà (Bruno Mondadori, 2002) che, proponendo brani di Freud, Jung e altri, può accompagnare la riflessione su ciò che significa guerra oggi.

Ombra e luce

La notizia
Gian Enrico Rusconi commenta, dalla prima pagina de "LA STAMPA", la questione del Crocifisso in aula. La proposta di legge che vorrebbe il Crocifisso presente quale "emblema di valore universale della civiltà", sposta i termini dalla caratteristica di segno specifico e positivo di fede religiosa, a quella di simbolo - che si vorrebbe universale - rappresentativo invece di particolarità e differenza nei confronti di altre culture. Viene sottolineata l'inopportunità di affidare al Crocifisso sulla parete tale ruolo connotato da forte contraddizione.
La Stampa, 20 settembre 2002

Mariella Torasso Il commento
In un momento storico-sociale in cui si fa un gran parlare da un lato di intercultura e accoglienza, dall'altro di pericolo terroristico arabo-musulmano, il richiamo di un ministro all'esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche rimanda certamente a più di un'insicurezza, non tanto a proposito di fondate radici cristiane, quanto piuttosto di incerte proiezioni future.

La civiltà occidentale, alle prese con l'impatto di una sempre più massiccia immigrazione, facendo ricorso talora ad atteggiamenti di apertura, più spesso a tentativi di rimuovere un problema che non può più essere ignorato, denuncia la necessità di ripensarsi in termini di identità collettiva.

L'indicazione governativa raccoglie l'urgenza di tale ripensamento, collocandosi però in un'area regressiva che tralascia il percorso evolutivo dell'Europa laica dei diritti dell'uomo e del cittadino. Un'identità non si improvvisa, anche se l'attrazione esercitata dal collettivo rappresenta spesso una soluzione difensiva e inconsapevole quando l'individuo non è in grado di trovare risposte personali adeguate ai sentimenti di paura, angoscia e disorientamento. "L'infantile stato di sogno dell'uomo di massa" (Jung) propone così un benessere raggiungibile senza una conquista individuale, con una rinuncia ad essere soggetto attivo della propria esperienza emotiva e un affidamento passivo alla logica del gruppo che fornisce illusorie garanzie di sicurezza.

A fronte di una messa in discussione delle nostre certezze, non pare fuori luogo una lettura che ci consenta di cogliere gli eventi collettivi come il riverbero della psiche individuale, come diretta espressione di una nascosta inclinazione: i demoni e la visione mitologica del mondo, cacciati dal razionalismo illuministico, sopravvivono invece nel profondo dell'animo, mentre l'uomo perde sempre più il rapporto con il suo lato ombra, con ciò che non vorrebbe essere.

Un'inferiorità conscia può essere corretta e modificata, ma un aspetto negativo rimosso e isolato dalla coscienza resta un "inciampo" che può nondimeno irrompere senza preavviso o può essere proiettato irrazionalmente sull'altro. Poiché non è possibile eliminare l'aspetto ombra, si può cercare di "venire a patti" con esso in un processo di confronto, sempre ricordando che la luce è tale perché esiste la tenebra.

Tornando al simbolo del Cristo, possiamo facilmente coglierne la forte connotazione di luce nei confronti di una parte "ombra" oggettivata nel Male o nel diavolo. A tale proposito Jung (Sul problema del simbolo del Cristo, 1953), sottolinea l'aspetto di "incompletezza" del simbolo di Cristo, che si è separato - attraverso il conflitto con Satana - dalla sua ombra.

Si presenta quindi il problema del confronto con l'ombra: come per quanto riguarda il piano personale individuale, il confronto con l'ombra non è che il primo passo sulla strada che conduce alla meta dell'integrazione degli opposti, per cui il simbolo cristiano non verrebbe svalutato, ma completato dall'unione dei due opposti in Dio.

E' questo il dramma archetipico che è al tempo stesso psicologico e storico.

Ecco perché la riproposta di un simbolo che già animò a suo tempo altre "guerre sante" ci può apparire anacronistica e comunque inadeguata in un'ottica di confronto dialettico, che sola può individuare la strada affinché non abbia il sopravvento la forza psichica inconscia e incontrollata.

Chi sta ai piedi della Croce?

La notizia
Crocifisso obbligatorio in aula " Nessun decreto del governo". Il sottosegretario dell'istruzione Aprea risponde alle interrogazioni in senato: retromarcia del ministero.
La Repubblica, 27 settembre 2002

Daniela Brambilla Il commento
Il 18 settembre alla Camera il ministro Letizia Moratti diceva "Mi sembra doveroso assicurare che il crocifisso venga esposto nelle aule scolastiche". E poi: "Le iniziative da assumere per disciplinare in maniera chiara e certa l'esposizione sono attualmente in via di definizione e alle stesse verrà data attuazione nei prossimi mesi."

Le due dichiarazioni della Moratti hanno suscitato una settimana di polemiche che hanno surriscaldato gli animi di laici e cattolici. Forse la controversia è finita una volta per tutte, il governo non proporrà nessuna legge, decreto o circolare sulla materia.

Il crocifisso nelle scuole mi fa ritornare con il pensiero al passato, quando bambina con l'immacolato grembiulino bianco, stavo seduta immersa in quell'inconfondibile odor di scuola, e alzavo gli occhi, al crocifisso davanti a me, convinta che bastava rivolgersi a quel signore così poco vestito e qualsiasi fatica o dolore mi sarebbe stato risparmiato.

Quindi mi chiedo ma perché anche se solo per poco al ministro Moratti è venuto in mente di imporre il crocifisso nelle scuole, e perché mai ha ritenuto importante occuparsi degli arredi scolastici?

Forse tutto ciò poteva essere utile a rinverdire l'identità nazionale a far in modo che fosse possibile un recupero della nostra cultura e della nostra tradizione.

Frank McCourt in Le ceneri di Angela, raccontando il mondo attraverso gli occhi di un bambino nella cattolica Irlanda di inizio secolo, scrive…

"Ho dieci anni e sono pronto per andare alla chiesa di San Giuseppe a fare la cresima. A scuola il maestro O'Dea ci prepara. Dobbiamo sapere tutto della grazia santificante, una perla di gran valore comprata per noi da Gesù con la sua morte. Il maestro O'Dea alza gli occhi al cielo e ci dice che una volta cresimati diventeremo parte della divinità. Riceveremo i doni dello Spirito Santo: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza e pietà e timor di Dio. Preti e maestri ci dicono che cresimarsi significa diventare un vero soldato della chiesa e dà diritto a morire e a diventare martiri nel caso in cui venissimo invasi dai protestanti o dai maomettani o da qualunque altra razza di miscredenti: Ci risiamo con la morte: mi verrebbe voglia di dire a tutti che per la fede non potrò morire essendo già prenotato per l'Irlanda."

Mi chiedo se la cultura e le tradizioni di un popolo sono davvero recuperabili da un gesto così esteriore, che fa ricorso al pensiero magico infantile. Un gesto che in qualche modo ricorda il cacciatore preistorico, che disegnando cervi sulla parete della caverna sperava che questi si lasciassero cacciare con facilità: "Basterà riunirsi intorno ad un simbolo e noi che siamo portatori di ogni bene vinceremo e trionferemo sul male".

Forse l'umanità tutta, sta facendo ricorso al pensiero magico per non assumersi le sue responsabilità rispetto alla terra, alla vita e agli altri esseri umani che la abitano? Forse è più facile pensare che una religione, come le religioni monoteiste, possiede la verità unica e direttamente rivelata. Inutile dire che di religioni portatrici di verità ce ne può essere al massimo una: quando invece ce ne sono due o, dio non voglia addirittura tre, le cose si complicano ed esplodono. Da un lato, gli altri monoteisti verranno percepiti come sacrileghi e blasfemi, e massacrati nelle reciproche carneficine, che hanno segnato la storia antica e recente di ebrei, cristiani e musulmani. Dall'altro lato, gli infedeli verranno considerati come esseri inferiori da eliminare e redimere, attraverso le innumerevoli guerre di conquista che gli imperialismi ebraico, cristiano e islamico hanno perpetrato nei secoli, negli anni e nei mesi passati.

Se la nostra religione è giusta, se il crocifisso sul muro di ogni classe ci ricorda che noi siamo nel giusto e che non dobbiamo far nessun sforzo riflessivo per accettare parti sconosciute di noi, ci sentiamo onnipotenti, ci sentiamo in "grazia divina".

La psicoanalisi ha messo in luce che il neonato sperimenta un sentimento originario di onnipotenza, come se tutto ciò che esiste fosse racchiuso in lui e tutto accadesse per la sola forza magica del pensiero. Il sé grandioso degli esordi dello psichismo, ci fa credere di essere noi stessi il seno che ci nutre, negando dipendenza e bisogno, il lungo e faticoso processo della crescita ci obbliga progressivamente a riconoscere il mondo esterno, il "non sé", il senso del limite, il dolore della separazione e dell'assenza. Quando si crede nella divinità, invece l'onnipotenza può essere conservata, sia pure proiettata nell'immagine di un "di padre" e nelle figure celesti.

Nelle religioni l'anima è immortale e quindi grazie alla fede possiamo eludere l'angoscia della morte. In realtà l'elaborazione della separazione, della perdita e della morte sono un nodo evolutivo cruciale. D'altra parte uno psicoanalista tedesco di origine ebraica, J. Massermann, sostiene che " la religione consiste in certe difese dell'uomo, curiosamente irrealistiche, paradossali, ma onnipresenti ed essenziali all'economia psichica dell'uomo. Le difese sarebbero principalmente tre:
  • l'illusione dell'invulnerabilità
  • l'illusione che dio sia al sevizio dell'uomo
  • l'illusione della bontà dell'uomo verso il suo simile.
Tali meccanismi sarebbero davvero sacri in senso umanitario ed interferire con essi sarebbe altamente dannoso per il paziente e per il terapeuta.

Alla luce di ciò, devo quindi riconoscere che forse ciascuno di noi per quanto forte e maturo deve far ricorso a operazioni di rimozione, negazione, scissione di certe dolorose verità riguardanti la condizione umana. Mi sembra però pericoloso che qualcuno che per sé conosce la qualità fallace di certe convinzioni consolatorie le dispensi magnanimo ad altri, vissuti come più fragili e "minori". Non a caso la Chiesa e i partiti politici che la rappresentano, combattono battaglie furiose a favore della scuola privata in nome della libertà di insegnamento: perché sanno benissimo che il condizionamento culturale effettuato sui bambini avrà effetti permanenti sugli adulti.

…Poi il maestro chiede: Di' un po', Mulcahy, chi è che stava ai piedi della croce quando Nostro Signore fu crocifisso?
Mulcahy è un tonto. I dodici apostoli, signor maestro.
Mulcahay, come si dice imbecille in irlandese?
Amadàn, signor maestro.
E che cosa sei tu, Mulcahy?
Un amadàn signor maestro.
Fintan Slattery alza la mano. Signor maestro, il lo so chi stava ai piedi della croce.
Ovvio che Fintan sappia chi stava ai piedi della croce. Come potrebbe non saperlo? Fintan va sempre a messa con la madre, che è nota per la sua santità. La madre di Fintan è così santa che suo marito è scappato in Canada a tagliare i boschi, felice e contento di sparire e di non farsi più sentire da nessuno.


Ritornando ai miei ricordi; il signore poco vestito che stava davanti al mio banco di scuola mi ha in realtà aiutata poco, ricordo di aver, nonostante la sua intercessione fatto un sacco di macchie sul quaderno, ma molto probabilmente era impegnato in cose più importanti.

All'affermazione di Nietzsche che " Dio è morto" Woody Allen risponde "No, ha solo traslocato e ora lavora a un progetto meno ambizioso".

Cuore matto da legare

La notizia
Un nuovo esame del CNR consente di indagare le condizioni generali di salute, in modo da individuare i livelli di possibile sofferenza cardiaca.
La Repubblica, 17 settembre 2002

Nicoletta Massone Il commento
Finalmente un test in grado di operare nel campo della prevenzione per quanto riguarda le affezioni cardiache: questa la notizia degli ultimi giorni. Il Servizio di Prevenzione e Protezione del CNR ha messo a punto uno screening in grado di pronosticare, con almeno 10 anni di anticipo, la probabilità del verificarsi di un infarto al miocardio o di altre gravi patologie cardiovascolari. Questo, attraverso una valutazione dei fattori di maggiore rischio: sesso, età, alimentazione, abitudine al fumo, livelli di colesterolo e di pressione arteriosa, diabete e ipertrofia del ventricolo sinistro.

Nel caso del riscontro di un rischio elevato, il consiglio è quello di iniziare, eventualmente, una terapia farmacologia, ma soprattutto di provvedere ad una modificazione delle abitudini esistenziali. "Nella prevenzione delle malattie cardiache, infatti - sottolineano i ricercatori del CNR - è essenziale lo stile di vita."

Rilievo, noto, forse, ma importante perché, in qualche modo, conferma un'impressione diffusa: la nostra esperienza sembra legare la "malattia di cuore" ad una fatica quantitativamente eccessiva, raccolta nel succedersi quotidiano dei giorni e fattasi, improvvisamente, non più sostenibile. Come se le sollecitazioni cui siamo esposti: responsabilità lavorative, impegni familiari, improvvisi e laceranti dolori, diventassero di colpo un grumo condensato e non più digeribile di sofferenza. Fardello eccessivo che finisce per pesare sull'esistenza e sul nostro cuore che dell'esistere è il battito, il colore, il respiro.

L'esperienze diretta e immediata, dunque, lega in modo privilegiato il cuore alle emozioni. Certamente sappiamo che gli affetti coinvolgono, nel loro manifestarsi, sia il corpo che la mente: la paura fa tremare le mani e sbianca il volto, la tensione di un dibattito acceso imporpora la guance, la pelle si increspa nell'attesa di una carezza.

Una ad una, tutte le parti del corpo si inteneriscono, giurano vendetta o eterno amore insieme con la nostra anima. A seconda delle circostanze, sono le gambe, i capelli o le labbra ad avere maggiore centralità e il cuore non manca mai. E' proprio il suo ritmo che si presta, in modo particolarmente appropriato, ad attribuire un tono affettivo agli istanti e agli incontri della vita.

Giustamente, allora, temiamo per lui che ci appare così forte quando si allarga sulle nostre speranze, ma che sentiamo anche altrettanto fragile quando lo pensiamo esposto senza possibilità di difesa ad ogni intensità emotiva.

E il timore per un cuore che può spezzarsi di colpo, sotto il peso di un compito fattosi intollerabile, rappresenta anche la trepidazione per noi stessi, impegnati nell'identico lavoro di trovare un'armonia interiore rispetto alle esperienze che viviamo.

E' un lavoro che ci attende ogni giorno e che ogni giorno non è mai garantito nella sua conclusione.
Un progetto ha avuto buon esito, ne siamo contenti, ma è costato mesi di preoccupazione, a volte la paura del fallimento è stata cosa quasi palpabile, senza contare la fatica del dialogo con altri, costante tensione nel tentativo di fare prevalere la spinta della collaborazione piuttosto che l'impulso distruttivo della rabbia, della frustrazione e dell'impotenza. Una telefonata affettuosa nel cuore di un pomeriggio di lavoro, sembra allentare, per un attimo, il senso di claustrofobia, ma il calore di quel rapporto è una conquista costante che passa attraverso il dramma del confronto, la metabolizzazione delle piccole e grandi incomprensioni, delle rabbie e delle delusioni. Un caro amico ci ha fatto notare quanto nostro figlio sia sensibile ed attento, un professore ce ne ha lodato la curiosità e l'intelligenza; ci sorprendiamo orgogliosi di avere collaborato alla crescita di queste capacità, ma sappiamo anche la fatica dell'impegno. Proprio nostro figlio, a volte, fa scelte che non ci aspettiamo e questo ci amareggia e ci preoccupa; a volte proprio nostro figlio soffre per una incomprensione, per un amore che finisce, per le nostre stesse scelte e il nostro dolore, sordo e profondo, non può che fare eco al suo.

E' come se ogni giorno avessimo il prioritario bisogno di filtrare tutto ciò che è avvenuto fuori e dentro di noi per trattenere il bene e trasformare il male in qualcosa che ci possa appartenere.

Ci sono occasioni, però, in cui tutto questo non riesce e la sensazione, allora, può essere simile a quella di un'intossicazione: elementi dolorosi, alieni, potenzialmente pericolosi, ci hanno invaso e non sappiamo più come difendercene. Sentimenti negativi che, in genere, siamo abituati a ridimensionare e circoscrivere, ora si allargano a dismisura e l'atmosfera interiore diventa di disperazione: qualcuno, non si sa chi, forse solo la furia cieca del destino, ha cancellato ogni speranza, siamo diventati estranei a noi stessi, intrappolati in una vita che non ci appartiene e che ci schiaccia con la sua inospitalità. Il mondo che ci circonda, improvvisamente, diventa gelido e disadorno: forse ci siamo allontanati troppo e, come Pollicino, non troviamo più la strada del ritorno all'affetto rassicurante di una casa.

E' il nostro stesso pensiero che non riesce più ad accoglierci, a consolare una crescente agitazione. Cerchiamo solo di correre più veloci dell'angoscia, di correrle davanti per non farcene prendere, per non saperla ed esserne strozzati.

E' una corsa a precipizio, sfrenata, non possiamo fermarci per fasciare le ferite, non possiamo tenere conto di chi abbiamo travolto, neanche se quel qualcuno siamo noi stessi.

Il nostro cuore, lanciato a mille, palpita frenetico nella gabbia toracica, troppo piccola ora per contenerlo. Ma temiamo che, a trattenerci, si possa spezzare.

La malattia organica, in questo caso, può essere l'inevitabile conseguenza di uno sforzo stremante al quale non sappiamo trovare alternative. Bisognerebbe potere tornare indietro, forse proprio a quel surplus di dolore che sembra avere rotto l'equilibrio e reso inutilizzabili le nostre capacità di stare con noi stessi.

Anche se quel surplus di dolore, come dicono le tabelle sugli indici dello stress, è l'intollerabile assenza di una persona amata, il muro vuoto e nero delle ore che ha lasciato, l'indigenza colpevole di una solitudine senza rimedio. Anche se quel surplus è la consapevolezza di avere mancato per sempre una meta desiderata, l'ignominia di una sconfitta o il peso di una ingiustizia taciuta.

Sono tutte quantità emotive che sembrano incunearsi e spezzare il fragile contenitore del nostro pensiero che fugge, impazzito, nell'estremo tentativo di annullare, fare sparire, togliere, quello che è avvenuto. Ma non lasciare spazio al pensiero è la paradossale richiesta di vivere solo a singhiozzo, impedire al cuore di battere per abortire un abbozzo di consapevolezza che, in piena luce, sarebbe lacerante. Dice Fernando Pessoa:
"Chi mi solleverà dall'esistere? Non è la morte che voglio né la vita: è qualcosa che brilla nel fondo dell'inquietudine come un diamante possibile nel fondo di un pozzo in cui non si può scendere. E' tutto il peso e tutto la pena di questo universo reale e impossibile da cui l'immaginaria falce crescente della luna emerge con una bianchezza elettrica immobile, ritagliata di lontananza e di insensibilità"

Per non ammalarsi di cuore, dicono i ricercatori del CNR, bisogna cambiare vita e sembra che proprio questo sia accaduto a Chiara che, dopo essersi sottoposta al test, è stata considerata ad alto rischio di malattia cardiaca.

"La mia vita è cambiata, ma più dentro che fuori, forse. Le analisi non hanno fatto altro che confermare una cosa che immaginavo. Ero una che se la prendeva per tutto, che soffriva per le ingiustizie, che correva anche quando stava ferma. Ora qualcosa dentro di me si è spostato, distinguo i miei problemi da quelli che miei non sono. Mi fermo, faccio un bel respiro, aspetto. Non sapevo, non avrei mai detto che avrei preso una minaccia come un'occasione per conoscermi di più." La malattia nasce anche dal tentativo di non sapere, nella certezza che questo sia l'unico modo per allontanare la minaccia della sofferenza. Ma il prezzo da pagare è alto perché ogni nostra risorsa, corpo e mente, è impiegata senza risparmio e senza rispetto. Invertire la rotta e prenderci cura dei nostri pensieri ci permette, come è successo a Chiara, di conoscerci meglio, di sentire quello che ci accade, sentire i battiti del nostro cuore che possono farsi soffocati e sordi, ma possono anche aprirsi sotto la carezza di una speranza nuova.