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Le armi da guerra al supermarket

La notizia
Nel settembre del 1994, l'allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton firmava il bando alle armi, varando una legge comunemente conosciuta come “legge Brady”, dal nome del suo sostenitore, portavoce di Ronal Regan, rimasto paralizzato nel fallito attentato del 1981 contro lo stesso Regan. Per 10 anni la legge ha proibito la vendita ai civili di 19 tipi di armi automatiche e semiautomatiche. Dal 13 settembre di quest'anno il bando non è più in vigore. La legge, infatti, scadeva naturalmente dopo 10 anni, a meno di una modifica da parte del Congresso, ma l'amministrazione Busch non ha programmato nessun intervento in merito. Il problema della scadenza non è stato sollevato nemmeno dal candidato democratico John Kerry durante la campagna elettorale per le presidenziali.

La Repubblica, 13 settembre 2004

Il commento
Con crescente angoscia continuiamo a seguire gli avvenimenti internazionali. In questo momento, apprendiamo, quasi increduli, della liberazione delle due italiane rapite in Iraq, quando ancora non si è spenta l'eco dolorosa della morte del loro collega ed amico, il giornalista Enzo Baldoni. Né, tantomeno, l'impatto terribile dell'atto terroristico nella scuola russa e dei troppi volti bambini che abbiamo visto viaggiare veloci, apparentemente eterei, sui teleschermi di tutto il mondo. Teleschermi che solo recentemente hanno involontariamente trasmesso in diretta la morte di un cronista di Al – Arabiya mentre mostrava un blindato americano attaccato e bruciato dai ribelli. Immagini ancora una volta terribili che potremmo pensare come la testimonianza, il simbolo più fedele di quanto sta accadendo: non abbiamo neanche il tempo di guardare perché il sangue ci macchia gli occhi.

L'orrore non si lascia vedere né pensare, l'orrore permette, semplicemente, solo di venire vissuto. Del resto, lo sappiamo: potremmo essere le prime vittime italiane di un attentato kamikaze, subito confusi e cancellati da una nuova, abbagliante tragedia. L'odio e la morte possono stare seduti su una panchina, passeggiare nell'atrio di una stazione, passare in un bar. La morte nascosta dietro il volto di un giovane uomo o di una giovane donna, volto senza sguardo, devastato e devastante. Morte e guerra ci catturano per la strada al lavoro, nelle ore pigre di queste giornate di fine settembre che trattengono, ostinate, vestigia dell'oro dell'estate.

Nulla più sembra consueto.

Non ce lo diciamo, ma ci sentiamo in guerra. Dopo quella fredda, questa potrebbe essere la quarta guerra mondiale, lo scontro inimmaginabile e terribile delle civiltà. Una scintilla innescata dall'avidità dell'occidente, temiamo possa avere fatto esplodere un processo planetario apparentemente inarginabile. Non abbiamo neppure bisogno di cercare le ragioni: è troppo tempo che siamo abituati ed informati della miseria del terzo e quarto mondo. Non siamo tranquilli, crediamo, neanche troppo inconsapevolmente, che una rabbia proporzionale ai soprusi ci possa annientare. Soprusi che ora ci paiono infiniti; il pensiero, con sgomento, si spinge persino alle deportazioni dei negri d'Africa per tornare rapido al presente, alle leggi razziali promulgate in paesi non nostri, agli sfruttamenti indiscriminati delle grandi multinazionali che hanno inaridito per sempre enormi spazi di terra, condannandone a morte per fame gli abitanti. Non riusciamo a smettere di pensare: la creazione di governi di comodo ed amici negli stati ricchi di materie prime, non importa se poi erano governi sanguinari e violenti. Tanto, se le cose sfuggivano di mano, per riprendere il controllo bastava una dichiarazione di guerra contro il tiranno, guerra che costava lo stesso un numero infinito di dolori, di vite scomparse nel nulla. Il nostro pensiero si ferma con sgomento di fronte alla nostra inammissibile impotenza, la chiama indifferenza, emette una sentenza di condanna. Potevamo intervenire, protestare e non abbiamo saputo farlo …

Quanta rabbia può essere cresciuta, sedimentata, accumulata nel corso di così tanto tempo?

Temiamo di poter essere colpiti in ogni momento perché, in ogni momento, ci sentiamo colpevoli. Una posizione non semplice, in realtà intollerabile. Come sembra testimoniare l'articolo di Vittorio Zucconi apparso due settimane fa su Repubblica.

In America è tornato possibile acquistare, senza problemi particolari, veri e propri strumenti di guerra come l'AK 47, prediletto dal terrorismo, l'Uzi israeliano o la carabina M16 in dotazione all'esercito che può sparare, tenendo premuto il grilletto, 30 proiettili in circa 5 secondi. Armi, dunque, che vanno oltre ogni concepibile uso sportivo o di caccia e sono certamente più appropriate al contesto di una trincea. Da sempre la legge Brady, che vietava l'uso di tali micidiali strumenti di offesa, è stata sottoposta alla dura opposizione dei costruttori di armi, ma non solo: anche associazioni del tutto “laiche” come la National Rifle Association con i suoi quattro milioni di aderenti non ha mai cessato di contrastare, presentandola come strumento totalitario di controllo, insopportabile lesione ai diritti garantiti dalla costituzione e soprattutto atto di esposizione a golpe totalitari. Infatti, secondo l'Associazione, proprio il fatto che ciascun cittadino possieda un'arma e il diritto di portarla, è la migliore protezione rispetto a possibili dittature o attentati terroristici. Suonano terribili le parole di Charlton Heston, membro onorario e per tre volte presidente della NRA: «Potranno togliermi la pistola soltanto strappandomela dalle mia dita fredde, da morto.»

Sembra che l'universo emotivo che è stato nostro agli inizi della vita, continui ad accompagnarci nella sua intensità e nella sua tragica rudimentalità. Allora paura e dolore ci hanno portato a desiderare di distruggere ed annientare, almeno fare molto soffrire, chi ci sembrava si fosse reso responsabile della nostra pene, visto che non ci aveva protetto da esse, abbandonandoci ad una desertificante solitudine, priva di conforto e compagnia. Abbiamo poi temuto che chi avevamo così odiato, potesse rivalersi su di noi, trattandoci con identica violenza, rendendoci colpi e ferite. Ma abbiamo soprattutto temuto di avere distrutto sul serio e per sempre chi di noi si prendeva cura, chi per noi allora era il sole della vita e della sopravvivenza.

Col tempo, abbiamo imparato a distinguere la fantasia dalla realtà e abbiamo cercato, con infinita fatica, di tenere insieme i nostri sentimenti di odio e di amore, ricordandoci che chi era deludente era anche chi, attimo dopo, riusciva a donarci il calore e l'affetto della sua presenza.

Abbiamo cercato di sopportare le mancanze per non distruggere i nostri legami e la nostra possibilità di metterci in comunicazione, di mantenere un dialogo con coloro che amiamo.

Oggi, però, lo scenario del mondo sembra precipitarci nuovamente alle origini primitive dell'esistenza. Proprio perché sappiamo che mille dolori sono stati inferti, temiamo che ora questo male ci torni addosso per distruggerci. Ogni particella della realtà sembra farsi minacciosa, occhio animato che guarda malevolo e catturante. Dobbiamo essere sempre pronti a difenderci, visto che la coscienza della nostra colpa non ci abbandona mai. Angoscia infinita, soprattutto perché l'offesa arrecata sembra senza rimedio. Abbiamo infranto l'ordine, la bellezza e la vita e non sopportiamo i resti doloranti e straziati della nostra furia. Non sappiamo tollerare di essere violenti, ciechi, limitati, fallibili e non sappiamo perdonarci.

Come facevamo da bambini, buttiamo fuori di noi questa incandescente coscienza, terrorizzati all'idea di venirne sopraffatti e spariamo mille pallottole al secondo, nella folle speranza di tornare ad una purezza incontaminata da cui ricominciare.

È la nostra rabbia omicida a farci paura; ancora una volta sembra dircelo un'ulteriore notizia pubblicata sempre da Repubblica nella prima settimana di agosto, notizia che ci informa di come siano state trovate tracce di Prozac nelle acque del Tamigi e, più in generale, in quelle di tutta l'Inghilterra, ivi compresa anche l'acqua utilizzata in casa, quella che esce dal rubinetto. Il Prozac, dunque, un farmaco ad effetto calmante e rilassante, sembra essere diventato oggetto di consumo di massa e consumo davvero ingente, superiore ad ogni possibile supposizione, visto che le sue tracce si ritrovano ancora nell'acqua potabile, dopo tutte le possibili depurazioni.

Nell'ultima settimana di agosto, invece, ancora Repubblica riportava alcuni recenti risultati dell'ingegneria biomedicale: sarebbe possibile impiantare piccoli microcip vicino alle zone corticali deputate alla gestione degli impulsi aggressivi. Quando una persona si sentisse eccessivamente turbata od arrabbiata, potrebbe, tramite un telecomando in sua dotazione, inviare un impulso ai microcip che, a loro volta, provocherebbero una piccola scarica elettrica sui centri nervosi con effetto depressivo ed inibente. In questo modo, potrebbe essere evitato il trasformarsi di quello stato d'animo esacerbato ed irritato che si sta provando in concrete azioni direttamente offensive.

Non crediamo di potere essere in grado di gestire e contenere il nostro dolore e il nostro odio sconfinato, finiamo per armarci anche contro noi stessi, i veri terribili nemici, per sparare nella mente trenta proiettili al secondo appena avvertiamo il minimo segno di disagio. Oppure scegliamo l'artificiale ottundimento di un farmaco che, come killer su commissione, ancora più sottilmente del microcip, raggiunga la nostra anima rovente e la spenga.

Ci sentiamo inadeguati non solo rispetto alle notizie che ci giungono dai paesi in guerra; prima ancora di questo, ci sentiamo impotenti verso noi stessi, incapaci di prenderci la responsabilità di quello che siamo, soprattutto dei nostri difetti e di quello che questi ci hanno portato ad agire e ad essere.

Certo non è semplice riuscire ad accettare i fatti e i sentimenti distruttivi che fanno parte della nostra storia, sicuramente è questa l'opera più faticosa che ogni giorno ci attende, mai compiuta e sempre bisognosa di cure e di attenzione, ma notizie del genere non possono che inquietare e preoccupare, visto che vanno proprio nella direzione opposta rispetto all'integrazione e possono solo aumentare il circolo vizioso della rabbia, della paura e dell'odio, tramutando il mondo, quello esterno e quello interno a noi, nell'immagine disperata che oggi abbiamo di Bagdad, dove le stragi si accavallano senza senso e sembrano annegare in un dolore privo di redenzione.