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La banalità del male

 "La mia opinione è che il male non è mai 'radicale', ma soltanto estremo, e che non possegga né la profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo. Esso sfida come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare a radici, ed nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua "banalità"... solo il bene ha profondità e può essere integrale."
Hannah Arendt, "La banalità del male. Eichmann A Gerusalemme"


Prendiamo spunto dal doodle di Google che oggi celebra il 108esimo anniversario della nascita di Hannah Arendt, filosofa, storica e scrittrice tedesca naturalizzata statunitense ("pensatrice politica", come amava essere definita) per una riflessione su una delle sue opere più famose, "La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme", resoconto del processo al criminale nazista Otto Adolf Eichmann a Gerusalemme. Oltre alla cronaca del processo, il libro è l'occasione per una profonda riflessione sull'etica, la facoltà di pensare, il Bene e il Male. La Arendt è stata alieva di Karl Jaspers, psichiatra e filosofo noto nel mondo psicologico e medico per il famoso trattato "Psicopatologia generale", pietra miliare per la nascita della scienza psicopatologica.

Vi proponiamo uno stralcio del commento di Diego Fusaro, Ricercatore e docente di Storia della filosofia all’università «Vita e Salute – San Raffaele» di Milano, visionabile integralmente qui:

"Ciò che la Arendt scorgeva in Eichmann non era neppure stupidità ma qualcosa di completamente negativo: l'incapacità di pensare. Eichmann ha sempre agito all'interno dei ristretti limiti permessi dalle leggi e dagli ordini. Questi atteggiamenti sono la componente fondamentale di quella che può essere vista come una cieca obbedienza. Egli non era l'unica persona che appariva normale mentre gli altri burocrati apparivano come mostri, ma vi era una massa compatta di uomini perfettamente "normali" i cui atti erano mostruosi. Dietro questa "terribile normalità" della massa burocratica, che era capace di commettere le più grandi atrocità che il mondo avesse mai visto, la Arendt rintraccia la questione della "banalità del male". Questa "normalità" fa sì che alcuni atteggiamenti comunemente ripudiati dalla società - in questo caso i programmi della Germania nazista - trova luogo di manifestazione nel cittadino comune, che non riflette sul contenuto delle regole ma le applica incondizionatamente . Eichmann ha introdotto il pericolo estremo della irriflessività. Ma il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n'erano tanti e che quei tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. E questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica - come fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro patroni - che questo nuovo tipo di criminale, realmente "hostis generis humani", "commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male."

Segnaliamo anche due video riguardanti gli interventi sul tema "La banalità del male" della Prof. Adriana Cavarero, Professore ordinario, e della Prof. Olivia Guaraldo, Professore associato, Università degli Studi di Verona