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Comparare... perché?

di Patrizia Adami Rook

PatriziaAdamiRookPerché sì. Perché di fronte a tanti modelli (o modellini) le varie forme attraverso le quali il modello psicoterapeutico, in quanto modello di cura altro da quello medico, è andato via via differenziandosi nel tempo (un processo che è ancora in atto!) non pare ragionevole che lo psicoterapeuta si chiuda in una sola di queste, nella presunzione che sia quella giusta, l'oro, come parve anche a Freud riguardo la sua psicoanalisi, rispetto al più vile bronzo costituito da tutti gli altri tipi di psicoterapia.
Nessun modello psicoterapeutico è quello giusto, né in senso assoluto né relativamente a questa o a quella psicopatologia. Nessun modello è assimilabile ad un farmaco. Non è una... cosa che può essere somministrata al paziente a prescindere dalla relazione che, in quel momento, lega quest'ultimo al terapeuta. Ogni modello, in quanto modello di relazione, apre e chiude possibilità di comprensione dell'Altro, costituisce un punto di vista, un osservatorio, un vertice dal quale poterlo guardare, non già come oggetto-corpo inerte di fronte all'osservatore - come nel modello medico - ma come soggetto a sua volta osservante, in grado di produrre attraverso quella particolare relazione (che è sempre una relazione modellata) nuova conoscenza di sé e del mondo in cui si ritrova ad essere.
Ma un punto di vista, un osservatorio, un vertice è, appunto, uno. E chiudersi in un modello è come guardare l'Altro da un unico punto di vista. Con il rischio che anche l'Altro impari questo: a vedersi da un unico punto di vista. Il quale non sarà né più giusto né più sbagliato di tanti altri possibili, sarà solo... quello. Per esempio, quello che può vedersi dell'Altro da un punto di vista sistemico-relazionale, non sarà né più giusto né più sbagliato di quello che può vedersi da un punto di vista analitico. Semmai solo diverso: un livello altro di lettura di quella particolare realtà. Ma la possibilità di confrontare quello che emerge guardando quella particolare realtà da più punti di vista permette di avere dell'Altro (e lui di se stesso) una visione più rispettosa della sua complessità - in parole povere meno stereotipata - e permette di formulare "diagnosi" meno definitorie, tali da aprire più spazi di intervento.
C'è un uomo che racconta di essere stato picchiato tutti i giorni da suo padre. Quanto certi suoi modi di agire sono un reagire a figure che gli richiamano quella paterna? Quanto un certo rapporto con l'autorità ricalca schemi comportamentali appresi allora? Quanto il sintomo attuale parla di quello che accadde nel passato, rivela una storia, chiede che gli venga riconosciuto un senso?
Ma quell'uomo può essere guardato anche da un altro punto di vista: quanto all'interno di quel sistema familiare faceva (e ancora fa) il suo gioco in funzione del mantenimento del sistema stesso? Che cosa garantiva quel sistema ad ognuno dei suoi componenti? A quel padre che reagiva in un certo modo alle provocazioni di quel figlio (picchiandolo?) quella madre che lasciava che la cosa accadesse, quel figlio che continuava a provocare quel padre...
Il confronto tra i modelli, oltre ad aprire più spazi all'azione terapeutica, permette, a livello teorico, di perfezionare l'individuazione del modello psicoterapeutico in quanto modello di cura sui generis, altro da quello medico. Di contro l'individuazione del modello psicoterapeutico (che cosa sia la psicoterapia al di là dei possibili, innumerevoli tipi di psicoterapia) permette allo psicoterapeuta di monitorare quanto il proprio modello d'elezione (modello con la m minuscola o tipo di psicoterapia) è conforme al modello psicoterapeutico. Il processo è circolare. Si tratta peraltro di un processo di pensiero atto a contrastarne la chiusura e il suo tradursi in pensiero dogmatico. Dire a un paziente: potremmo guardare al suo problema anche da un altro punto di vista. Uno junghiano (o comportamentista o sistemico) potrebbe dire... lei che ne pensa? Mentre relativizza quello che è stato appena asserito trasmette all'Altro un messaggio importante: al di là di tutto c'è il nostro pensare insieme, il cercare di capirsi per capire… il cercare di capire per capirsi... e c'è l'utilizzo dei modelli, di più modelli, il loro confronto come mezzi per riuscire a pensare altro ed oltre quello che l'adesione a questo o a quell'unico modello potrebbe permettere come pensiero già confezionato.
Ma tutto ha un prezzo. La comparazione tra più modelli significa la loro relativizzazione. Crederci si... ma crederci relativamente.
E ciò, mentre apre la possibilità di un pensare insieme (tra paziente e terapeuta) maggiormente creativo, qualcosa di molto simile a quanto accadeva nelle antiche scuole filosofiche tra maestro e discepolo, e apre alla speranza nell'insperabile, guarire a dispetto di tutto (chi non spera l'insperabile non lo troverà, diceva Eraclito, poiché esso è chiuso alla ricerca e ad esso non porta nessuna strada) chiude ogni accesso alle certezze, ivi comprese quelle cosiddette scientifiche, facendo del terapeuta un perenne pioniere sempre esposto alla domanda famigerata: Ti es ti? Che cos'è... ciò di cui tu parli?

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