Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorarne l'esperienza di navigazione e consentire a chi naviga di usufruire dei nostri servizi online. Se prosegui nella navigazione acconsenti all'utilizzo dei cookie.
Per maggiori informazioni leggi la privacy policy e la cookie policy presenti nel sito.

Società di assicurazioni e responsabilità

La notizia
Il Ministero della Sanità è stato condannato a risarcire 351 malati -alcuni sono poi morti- di Aids, epatite B e C, dopo trasfusioni di sangue infetto. Il Tribunale civile di Roma lo ha riconosciuto responsabile del contagio e della morte di centinaia di emofilici dovuti secondo il giudice, al mancato controllo del sangue. Gli avvocati delle vittime e dei loro parenti chiedono risarcimenti miliardari.
La Repubblica, martedì 19 giugno 2001

Il commento
Nelle prime pagine dei quotidiani ci capita di leggere notizie come quelle citate. Esse hanno un forte impatto emotivo, almeno su alcuni di noi, e per il senso di impotenza che suscitano e per lo spaesamento da paradosso in cui ci lasciano.

Può accadere che tentiamo la sdrammatizzazione e pensiamo: "Non ci sono Assicurazioni adeguate!". Ci fermiamo sul termine e ci accorgiamo che le Assicurazioni sono diventate società in rapido sviluppo, che ci stringono d'ogni lato, che sono un "dovere".

Pare ci si possa assicurare quasi per ogni evento misurabile. Un buco nel selciato può provocare la domanda : "Chi è colpevole"? Ma sullo stesso piano possono essere messi furti e fulmini o un veicolo che uccide un figlio. E ci sono le responsabilità professionali: per il chirurgo distratto, lo psicologo inesperto, il nonno che dimentica il rubinetto dell'acqua.

"Assicurazione" vuol dire soldi che tentano di riparare. Ma dove va a finire la molteplicità dei problemi di relazione con noi stessi, con gli altri, con l'ambiente?. La complessità viene semplificata dalla "concretezza" delle "Assicurazioni".

Con la tranquillità di essere assicurati ci difendiamo dal sentirci immersi in ogni momento della giornata nell'imprevedibilità degli eventi e nella responsabilità permanente.

Quando, noi dell'area psicologica in senso professionale, riflettiamo su noi stessi o affrontiamo l'evoluzione psichica di una persona, questo processo -riparare con i soldi- lo chiameremmo funzionamento pregenitale, fissazione alla fase anale, mancato raggiungimento della posizione depressiva, rigidità mentale in una visione unicamente bipolare , ecc. a seconda dell'ordine del discorso, o del modello teorico che seguiamo. Ci difendiamo così.

Soltanto che di fronte a un individuo o a noi stessi abbiamo ancora speranza di poter modificare la relazione con l'altro o intrapsichica, mentre di fonte agli eventi sociali la tristezza si fa emozione indefinibile, forse qualcosa che assomiglia a una disperata curiosità.

Sia l'uno che l'altro evento citati sono solo esempi dei molti che potrebbero essere ricordati.

Leggendo il primo ci pare di provare soddisfazione nel sapere che verranno risarcite un certo numero di persone che si sono ammalate di tumore a Porto Marghera, ci ricordiamo i prezzi dell'industrializzazione, ma ci chiediamo perché sia necessario un evento così vistoso, un simile processo faticosamente portato avanti negli anni, per rivelare e anche nascondere altre domande che subito ci si prospettano: "Quanto il cercare colpe in Enti, Aziende, Istituzioni non è ancora un delegare totalmente l'onere di avere soldi e colpe da portare?"

Pensiamo che non siamo ancora psicologicamente attrezzati a ricordare che : a. ci sono danni irreparabili e dolori irrimediabili da tollerare; ci sono lutti;
b. riparare vuol dire tentare di modificare atteggiamenti verso oggetti che abbiamo danneggiato e la riparazione in denaro, spesso doverosa, ci fa sentire meno responsabili, come la recita della preghiera dopo la confessione;
c. l'implacabilità del caso, del destino, del tempo come categorie dell'ignoto, della morte come individuale evento, viene attenuata dal luccichio del denaro che omologa e assume il significato del simbolo per eccellenza; ma è davvero un simbolo o solo un'equivalenza?
d. ci torna in mente che c'è stato un tempo in cui alcuni contrastavano l'uso di monetizzare i danni provocati da cause ambientali nei luoghi di lavoro. Era un tempo in cui le speranze di trovare soluzioni ai problemi individuali e collettivi sostenevano molti giovani e non giovani, in molte parti del pianeta. Era solo una crisi adolescenziale? Ma perché non si è potuto affrontare i conflitti più aspri e ci si è arresi ai livelli di sviluppo non evoluto? E' stato il senso di colpa di ciascuno, di tutti? Il senso di colpa verso i "padri" e le "madri", che può tracciare la strada o verso la capacità di essere responsabili, o all'indietro, verso l'aggressività persecutoria (Klein) o il crimine (Freud).

Torniamo a Marghera, al cosiddetto reale. Certo che la difesa dal dolore è un legittimo strumento, certo che le trasformazioni per avere una vita lunga e migliore sono una modalità del nostro stare sul pianeta. Ma per noi cittadini del mondo, sempre più informati sulle catastrofi individuali e collettive, c'è un tale senso di colpa per ciò che vediamo, che ci capita una paralisi mentale. Troviamo una scappatoia il più rapidamente possibile.

Ci sono soldi per risarcire? L'uso del petrolio, "sangue del mondo", è indispensabile, ma non fateci vedere quanto costa in termini di distruttività.

Ci sono problemi insolubili per ora, tenendo anche conto che pensare è una funzione individuale, ed è assai improbabile riuscire a pensare su argomenti che ci schiacciano collettivamente.

Ma i problemi sono collettivi... Guardiamo ad una persona che lavora in un'azienda inquinante per sopravvivere: è vittima e complice. E ogni individuo che consuma prodotti di quell'azienda è complice e vittima.

Pagare vuol dire mettere un oggetto al posto di un altro oggetto, rifuggire dal vuoto che la mancanza del primo oggetto può suscitare. Ce la facciamo a riflettere, solo riflettere, sulle possibilità di un mondo senza petrolio? Fantasticare l'impossibile? C'è una soluzione?

No! Ma i soldi o le Assicurazioni ci preservano dalla tragicità del conflitto? Come essere evoluti, ci aiutano ad accettare la responsabilità, a raggiungere la capacità di preoccuparsi ( e Winnicott ci pare così di aiuto quando si tratta di un bambino!)?

Quando invece di un bambino ci sono le sorti di tutti noi e di ogni vita sul pianeta noi non riusciamo a pensare ipotesi di evoluzioni mentali.

Eppure la difficoltà nei confronti delle situazioni di lavoro industriale è meno importante dell'altro esempio che il trafiletto di giornale ci propone.

Il Ministero della Sanità, evocato, ci riporta al sangue infetto. Il sangue è forse stato il primo elemento del nostro corpo a diventare intercambiabile, a poter passare da un corpo all'altro, prima degli organi.

Quando parliamo di sangue in un ospedale ci anestetizziamo per la paura di sentirlo cosa viva, nostro contenuto vitale, unica garanzia per muoverci nel mondo. Anche qui ci sembra giusto che paghi chi si è distratto su un elemento così temibilmente immerso nel sacro.

Ma quanto riflettiamo sul fatto che far pagare al Ministero della Sanità vuol dire delegare a una istituzione la faticosa riflessione sulla nostra morte individuale?

Pagare le tasse, pagare le Assicurazioni, come avere le leggi e gli acquedotti è ciò che siamo sinora riusciti a organizzare per il vivere civile.

Ma quanto abbiamo bisogno ancora di identificare nei Ministeri o in altri enti, l'adulto che ci protegge, ci risparmia il nostro individuale posto di responsabilità nella diversità dei nostri ruoli?

Ci sono pensieri difficili da formulare: esiste la casualità, qualche volta, ci sono confini tra i calcoli di probabilità del mondo virtuale e il fatto reale che accade nella sua unicità.

Tutto questo non per contestare la presenza nell'attualità delle Assicurazioni, ma per riflettere sulla necessità che ognuno si confronti consapevolmente con le paure ineliminabili, o ricordi che lo star bene e lo star male sono innanzitutto una presa di coscienza dei nostri rapporti con le nostre funzioni, rappresentazioni corporee, relazioni affettive, responsabilità etiche.

Ma se non c'è disponibilità all'ascolto è inutile predicare, se non ci sono orecchie, c'è qualcosa che possiamo tentare di pensare, in proposito?