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Calimero, la pedagogia del candeggio e il controllo del mondo

La notizia
La morte di Toni Pagot, uno dei nomi più noti della pubblicità italiana, riporta sulle pagine dei quotidiani, per un giorno, la sua creatura più conosciuta: Calimero.
La Repubblica, martedì 10 luglio 2001

Il commento
E' facile intenerirsi al ricordo: siamo stati i bambini cresciuti con un solo canale televisivo, un solo - quindi imperdibile - Carosello, un solo pulcino nero con mezzo guscio calcato in testa.

E' facile ricordare le piccole vicende serali di Calimero, perché per anni si sono dipanate seguendo sempre lo stesso necessario copione: il pulcino nero si trovava ogni volta coinvolto in qualche avventura, ma tanto veniva tiranneggiato e mortificato dagli altri abitanti del cortile che, alla fine, si issava sulle spallucce un piccolo fagotto e zampettava via. Storiche, perché sempre le stesse, le sue lamentazioni: "E' un'ingiustizia, però! Tutti se la prendono con me perché sono piccolo e nero…". Tempestivo, a questo punto, giungeva l'intervento dell'Olandesina - temibile fanciulla in grembiulino inamidato e zoccoletti - che recuperava il fuggitivo e, pronunciando la non meno storica frase, sempre la stessa: " Siamo alle solite, Calimero! Tu non sei nero, sei solo sporco! Là!", lo immergeva entusiasta in una tinozza colma d'acqua saponosa, stropicciandolo e strigliandolo a dovere. Dopo un istante, tra le bolle di schiuma riemergeva un pulcino sorridente e candido come la neve, pronto a pigolare lodi per i miracolosi effetti sbiancanti del detersivo.

In occasione della morte del suo creatore, per qualche ora si è ravvivato intorno a Calimero il dibattito tra quanti si schierano nella corrente che fa del pulcino la nostalgica icona di una lontana pubblicità civile e corretta, e quanti si indignano nella controcorrente che lo stigmatizza come "patetico, razzista, falso".

Anche questa polemica è sin troppo facile.

La pubblicità non è né diabolica, né benefica: sia gli sporadici e ingenui caroselli di un tempo, sia gli spot pervasivi di oggi, hanno sempre avuto il solo scopo di creare nuovi bisogni e di indurre all'acquisto per soddisfarli. Non è credibile, quindi, una pubblicità che pretenda di battersi in nome dei diritti civili: un pubblicitario non può dirsi dentro o fuori dalla corrente, e la denuncia sociale è solo un mezzo come un altro, più scaltro di un altro, per richiamare l'attenzione del consumatore. Un manifesto che reca il primo piano di un condannato a morte, tanto per fare un esempio, sostituisce semplicemente alla seduzione esercitata da un'immagine gioiosa, la seduzione (altrettanto o forse più potente), indotta nello sguardo del passante dall'orrore raccolto nel braccio della morte. Nell'uno e nell'altro caso, l'aumento delle vendite del prodotto in questione è assicurato, e lo scopo della comunicazione pubblicitaria raggiunto.( Per amore di cronaca, è notizia di questi giorni quanto poco abbia giovato, invece, la suddetta pubblicità ad uno dei suoi tanti derelitti testimonial, che negli Stati Uniti ha subito la sua puntuale esecuzione capitale ).

Ma torniamo a Calimero.

E' l'occasione, questa, per ricordare il dispiacere che in molti di noi - allora bambini poco inclini all'uso di acqua e sapone - procurava il suo rituale candeggio, e per riflettere sul significato simbolico che ha oggi per noi - i bambini di allora - la trasformazione di un pulcino nero in pulcino bianco.

Geniale è stata l'invenzione di Pagot: il pulcino con un guscio per cappello, ricordo di una nascita recente, che inizia il suo viaggio nel mondo. E' un piccolo sicuramente fragile e solo, ma anche curioso e recettivo, pronto a conoscere e sperimentare. Si muove, infatti, protetto dai resti dell'uovo in cui ha trascorso il suo tempo di feto: la sua mente, i suoi pensieri, sono ancora "covati" dalla madre, com'è giusto che sia per ogni neonato.

Un qualche tipo di parentela tra il Calimero di Pagot e il Brutto Anatroccolo di Andersen non può passare inosservata: come ogni neonato, entrambi sono stati scaraventati in una realtà esterna sconosciuta e paurosa, ed entrambi sono segnati dal marchio della diversità - Calimero è nero, invece di essere teneramente giallo; il Brutto Anatroccolo ha un corpicino sgraziato e una grossa testa, a ricordargli di non appartenere di diritto all'orgogliosa nidiata di Mamma Anatra.

Ma la somiglianza tra i due piccoli pennuti termina qui.

Sofferenze e frustrazioni segneranno infatti il percorso del Brutto Anatroccolo, che solo lentamente e con fatica raggiungerà infine un'identità adulta e lo statuto di Cigno. Per Calimero, invece, il destino ha in serbo il sollecito intervento dell'Olandesina: una rapida immersione nella tinozza (sostituita nei caroselli dei primi anni '70 dall'ancora più miracolosa lavatrice), e - oplà - l'identità di pulcino normale e pulito viene magicamente acquisita, senza fatica.

L'illusione è dunque quella di un mondo che può essere bonificato da un getto d'acqua e un po' di detersivo: un mondo dove non c'è sofferenza, ma neppure consapevolezza.

Il prezzo da pagare per una così gioiosa e facile affermazione di sé, è l'impossibilità di crescere e di imparare davvero qualcosa: Calimero, infatti, non può che replicare infinitamente l'identico copione, perché nulla ha appreso dall'esperienza, soffocata ogni volta, sul nascere, dalla troppo precoce e salvifica soluzione imposta dall'Olandesina. Condannato ad un girotondo insensato, il pulcino continuamente trascorre dal nero al bianco, per ritrovarsi ancora nero, e di nuovo bianco…non scomodiamo metafore allusivamente razziste: semplicemente, all'epoca, i colori televisivi non offrivano molta scelta.

Ci colpisce, piuttosto, il senso più profondo che si cela nella trama apparentemente innocente dell'esistenza di Calimero: l'impossibilità di progredire in una conoscenza volta alla comprensione del mondo.

L'Olandesina lava il pulcino, ma intanto inquina la sua mente con l'imposizione tirannica di un modello stereotipato di pulizia e bellezza.

Perché Calimero non potrebbe essere davvero, semplicemente, nero? E perché, se anche fosse soltanto sporco, non potrebbe essergli consentito di imparare pian piano a pulirsi da sé, impiegando tutto il tempo necessario a scoprire quale colore meglio gli si adatta?

L'operazione dell'Olandesina è paragonabile a ciò che Donald Meltzer descrive come intervento persecutorio sulla mente del bambino da parte di colui che insegna. In questi casi si determina, scrive l'autore " un apprendimento superficiale che comporta una forma di sottomissione a un persecutore (…) Questo metodo pedagogico può essere anche animato da buone intenzioni, ma strutturalmente è tirannico; esso permette di acquisire una forma di apprendimento di tipo meccanico (…) Questo modo di imparare non produce nessuna modificazione di fondo nella personalità, ma serve ad abbellire la facciata esterna del personaggio, che può adattarsi alle richieste dell'ambiente senza preoccuparsi delle finalità o dei principi etici". ( Da "Il ruolo educativo della famiglia", D. Meltzer, Centro scientifico editore, 1986 ).

Ciò che è stato appreso da Calimero, quindi, è immediatamente espulso dalla sua mente, non appena viene a cessare il controllo tirannico dell'Olandesina: il pulcino si ritrova così, ogni volta, costretto a ricominciare da capo.

D'altra parte, in questo meccanismo trovano fondamento l'essenza stessa e il fine ultimo della pubblicità: promuovere una conoscenza volta al controllo del mondo, e non alla sua comprensione. Comprensione che avrebbe luogo solo se a Calimero e all'Olandesina fosse concesso scegliere di vivere in un racconto diverso, aperto a nuovi, imprevedibili sviluppi.

Immaginiamo per un istante che cosa accadrebbe se la loro fosse, per esempio, una storia analitica: L'Olandesina -terapeuta, invece di intervenire scaraventando il pulcino-paziente nella tinozza o nella lavatrice, depositarie della sua verità e del suo sapere, potrebbe rimanergli accanto, segnalandogli ciò che sta accadendo mentre procede al suo fianco, accettando di accudire, dolorosamente, il dolore che, sempre, un processo di crescita comporta. Aiutandolo, così, a costruire un proprio autonomo "apparato per pensare i pensieri".

All'immagine di Calimero si sovrappone, in questo momento, il ricordo di un piccolo paziente che - nel corso della sua analisi - era solito segnalare la sua sofferenza trasformando la stanza in una grossa, claustrofobica lavatrice in cui si chiudeva e in cui veniva sballottato, centrifugato, ed infine sputato fuori, stremato ma ben ripulito. Per molto tempo non c'è stato altro da fare che assistere, con dolore e impotenza, a quel lavaggio cruento di pensieri ed emozioni.

Fino a che il bambino non ha aperto lo sportello della lavatrice alla terapeuta, accettando di condividere l'esperienza con lei. Per riuscire a spiegarle, infine: "Io sono uno straccio strizzato".

Calimero trovava così la sua identità: certo non tanto gradevole, certo stracciata, ma proprio sua. Però questa è un'altra storia, e ad un pubblicitario non credo piacerebbe.