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Di separazione si può morire?

La notizia
A Frosinone è morta di infarto una madre di 50 anni, alla vista della figlia di 18, uscita da un coma durato qualche settimana, dovuto ad una malattia di origine genetica, che fa alzare i valori del grasso nel sangue, disturbo comunemente conosciuto con il nome di diabete latente. ''La figlia esce dal coma, madre muore per l'emozione''.
La Repubblica, mercoledì 25 luglio 2001

Il commento
Quando la cronaca dei giornali si occupa di genitori e di figli, di solito è per eventi luttuosi, come in questo caso, che ci colpisce e ci lascia sconcertati per una dolorosa mancanza di senso: la sconfitta della morte da parte della propria figlia emoziona a tal punto la madre da farla morire.

E' molto difficile ragionare intorno a una notizia come questa, poiché possiamo immaginare la tensione, la sofferenza, lo sconforto, che sicuramente hanno preceduto e accompagnato questo ricovero ospedaliero, tutta l'angoscia di una madre nel vedere annullate, in un coma, gli sforzi e le fatiche per accudire la figlia, probabilmente ammalata da molto tempo, e la gioia, rivelatasi devastante, nel sapere che è uscita dal coma, che ce l'ha fatta.

Ci prende lo sgomento: si può morire di amore materno ?

Il pensiero corre a tutto ciò che si è letto e ascoltato sul rapporto genitori - figli, il cui legame d'amore è dato sempre per scontato sia da una parte sia dall'altra, e che comporta invece difficoltà e fatica emotiva per tutti, quotidianamente, al di là di ogni retorica.

E' necessario ricordare che l'amore genitoriale, ed in particolare quello materno, non sembra essere così spontaneo, connaturato ed istintivo, se la storia sottolinea che in tutte le società, per secoli, indipendentemente dalla classe sociale o dal livello culturale di appartenenza, i bambini sono stati trattati in maniera che oggi è inaccettabile per il senso comune; perciò, forse, è necessario interrogarsi prima di tutto sulle motivazioni a diventare genitori, certamente le più varie, e non sempre del tutto chiare nemmeno ai genitori stessi.

Si desidera il bambino o il fatto di generarlo? E se lo si desidera, è per lui stesso o per quanto può dare alla nostra immagine, personale e sociale?

Per alcune donne a volte diventare madre serve a definire la propria identità, perché la maternità è sentita come unica possibilità di autentica realizzazione, di somiglianza con tutte le altre, ed analoghi motivi possono esserci nell'uomo, che vede nel figlio la possibilità di continuare se stesso e la propria opera, perpetuando il senso di appartenenza al nucleo familiare di origine dal quale, forse, non si è ancora staccato.

Ed è indubbio che, nel desiderio di un figlio, si nasconde anche il desiderio di potersi identificare con lui, di viverlo come un prolungamento di sé, per dare spazio finalmente a quelle proprie parti che da sempre si sentono non realizzate.

Alla luce di tutto questo corredo di aspettative e di desideri nei confronti di chi nasce, è possibile ipotizzare che, forse, nella coppia madre - figlia riportata dalla cronaca il rapporto possa aver risentito della pesantezza di aver trasmesso, da un lato, e ricevuto, dall'altro, una malattia, fatto che può aver scatenato sensi di colpa, rabbia, rivendicazioni; la madre può essersi sentita responsabile proprio "nel concreto", geneticamente, della vita difficile della figlia.

La psicologia del profondo ha scoperto il processo di formazione della mente, evidenziando la specificità della figura materna e della qualità della sua relazione con il figlio, in quanto punto di riferimento per la costruzione della mente stessa del bambino.

Proprio i primi contatti fisici ed emotivi con la madre, e perciò con la realtà esterna, permettono al neonato la strutturazione e il funzionamento della mente e della capacità di pensare; gli eventi concreti e le esperienze sensoriali dei primi tempi sono acquisiti nel mondo interno con le emozioni conferite dalla madre nei primi giorni e mesi, e via via si organizzano nella mente del bambino, fino ad assumere il valore di sentimenti, di pensiero, di comunicazione.

In questa prima fase di vita il bambino e la madre vivono in simbiosi, cioè in quello stadio, come afferma la Mahler, "nel quale madre e bambino sono racchiusi in un'identità duale onnipotente all'interno di uno stesso confine", necessaria al nuovo nato dato che il suo "Io" non è ancora attrezzato ad organizzare gli stimoli interni e esterni in modo da assicurarsi la sopravvivenza.

Successivamente, con la "fase di separazione - individuazione" avviene la "nascita psicologica", cioè la presa di coscienza interiore della propria esistenza come individuo separato, e la consapevolezza della propria unicità.

Ma questo processo già lungo e doloroso di per sé, poiché implica l'esperienza di realtà esterna e di realtà interna, di frustrazioni e di delusioni, può essere risultato ancora più difficile e tortuoso per questa coppia, per via della necessità di cure, delle preoccupazioni e delle paure legate alla malattia, che possono aver costretto madre e figlia ad un legame ancora più stretto ed ambivalente.

Individuarsi, per il bambino, significa accedere al mondo dell'autonomia e dell'espressione di sé, crescere insomma, e può certo valere il sacrificio psicologico della separazione; ma qual è il prezzo che deve pagare una madre nel favorire questo passaggio, così necessario per la maturazione del figlio? Se, come dicevamo, da qualche parte di sé un genitore sente il figlio come un suo prolungamento, e, in questo caso, può forse essere legittimo ipotizzarlo, avvertirne il processo di autonomia può spaventare, poiché significa evocare la propria fatica di crescere, oppure la perdita dell'oggetto nel quale riporre desideri ed aspettative, l'oggetto che colmava un senso di vuoto oppure dava senso alla propria esistenza.

L'attaccamento è uno dei più potenti sentimenti umani; se un genitore a suo tempo è stato o si è sentito un bambino poco accudito, a volte continua a covare nel profondo un senso di rabbia, di aggressività ostile e distruttiva, e un'insaziabile sete di riconoscimento che, come sappiamo dall'esperienza di chi commette violenze o abusi sui bambini, innesca una catena che può perpetuarsi da una generazione all'altra, sempre con lo stesso sfondo. Vale a dire il tacito assunto che il figlio o il bambino esiste per prendersi cura del genitore, per essere finalmente la sua salvezza, non dell'adulto di oggi, ma di quel bambino di un tempo che ancora reclama la sua parte di amore.

Essere genitori implica un doloroso paradosso: si chiede loro di instaurare un legame strettissimo con il figlio, fatto di accudimento, protezione, cure, amore, per permettergli di crescere, cioè di diventare autonomo e di liberarsi appunto di questo legame, condizione indispensabile per essere adulto; come diceva un genitore: "Devo insegnargli ad andarsene!".

Ma il rapporto genitore - figlio, per la sua scontata intensità, può facilmente diventare il luogo privilegiato dove depositare gli aspetti di sé non risolti, aggiungendo quindi pesi ulteriori al rapporto stesso; per esempio, se non si è stabilita chiaramente la separazione, prima di tutto con le proprie figure genitoriali, diventa molto difficile, in seguito, permettere che il figlio compia questo percorso, perché, se questo succede, viene meno un legame indispensabile al proprio senso di sé, alla propria sicurezza. Infatti, senza separazione non si è potuto fare esperienza di autonomia interiore, l'unica che può consentire, in seguito, di instaurare rapporti interpersonali autentici, e non costretti dalla dipendenza esasperata nei confronti degli altri.

Forse, ma possiamo solo fantasticarlo, dopo giorni e giorni nei quali questa madre, con un dolore indicibile, ha potuto solo assistere, impotente, la figlia che combatteva da sola per la sopravvivenza, vedendola riaprire gli occhi può essere stata sommersa non solo da una gioia altrettanto indicibile, ma dalla sensazione che, fuori pericolo la figlia, il suo compito di cura poteva diventare meno importante, e sentire così sciolto quel legame per lei, interiormente, ancora indispensabile.

Davvero allora, di fronte a tanta, ulteriore angoscia, il suo cuore può avere ceduto.