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In carcere... per vivere!

La notizia
La strana visita di un ladruncolo dal carabiniere che lo arrestò. ''Fatemi tornare in carcere fuori non ce la faccio più''.
''Il Lavoro, di lunedì 29 ottobre 2001

Il commento
E' una notizia curiosa quella di un ladruncolo che chiede di essere messo in carcere … per non rubare. E' una notizia che, proprio per questo, può suscitare interrogativi e far nascere la voglia di andare a vedere che cosa ci possa essere dietro una così "strana richiesta".

E subito alla mente viene spontaneo pensare quanto, infatti, sia difficile trovare dentro se stessi la capacità di controllare i propri bisogni, di gestire i propri impulsi, di modulare i propri desideri. Il detto popolare: "L'occasione fa l'uomo ladro" sembra sottintendere, per l'appunto, tale difficoltà e acutamente mette in evidenza che non è solo un problema di pochi, ma di ogni uomo, anche se per alcuni -più che per altri- tale problema diventa drammatico.

Come mai?

L'osservazione clinica e le conoscenze psicoanalitiche possono darci una mano nel tentativo di capire qualcosa.
Ogni essere umano, in un determinato momento della sua vita, ha fatto l'esperienza di essere guidato, se vogliamo "educato" a gestire quel crogiuolo di emozioni, sentimenti, bisogni che provava, al fine di mettersi in rapporto con gli altri e con il mondo. Alludo, per esempio, al momento delicatissimo, nella prima infanzia, dell'educazione degli sfinteri, ovvero l'apprendimento del bambino a fare cacca e pipì in determinate circostanze e in dati luoghi, con tutti i vissuti psichici sottesi. Alludo, poi, al momento fondamentale dell'introiezione della legge paterna, quale risoluzione della problematica edipica, quando fra i 3, 5 anni il figlio realizza l'identificazione con il genitore del proprio sesso come superamento degli intensi sentimenti di gelosia, rabbia e aggressività nei confronti del padre (per il bambino) e della madre (per la bambina), vissuti come rivali nella conquista della esclusività dell'amore del genitore dell'altro sesso. Alludo, infine, al drammatico periodo dell'adolescenza quando, nella ricerca di una propria identità, il giovane , deve fare i conti con un retaggio familiare di relazioni, codici, valori, leggi assimilati ed una nuova realtà esistenziale da pensare, elaborare e realizzare. Ed è proprio questo il momento in cui, da quella situazione dove erano gli adulti a guidare, ad indirizzare si può realizzare il passaggio ad una capacità di gestire più autonomamente la propria realtà emotiva e la propria capacità relazionale. Ma è anche questo il momento dove, come dire, i "nodi vengono al pettine". Sappiamo che una personalità può svilupparsi nella misura in cui è in grado di sopravvivere, a livello psichico, alle gravose esperienze del cambiamento e delle perdite che tale cambiamento inevitabilmente comporta. Ora questo è possibile se si è stati in grado di creare un' identificazione con una figura interna pensante, come dire, con un centro di amore e di attaccamento, che alla fine può funzionare in modo autonomo dalla sua origine e rappresentazione esterna. In altre parole, la crescita, l'evoluzione, la realizzazione a livello psichico dipendono dal fatto che il "nucleo originario" di ogni essere, quel Sé inesperto ed ancora immaturo, venga inizialmente contenuto (direbbe Winnicott ) e guidato nel corso dei suoi rapporti intimi in famiglia, prima, e nella vita poi. Ora, se questo è mancato o è stato inadeguato, si possono aprire alcune prospettive esistenziali anche drammatiche. Esse vanno dalla incapacità a tollerare autorità, norme, leggi; alla impossibilità a contenere vissuti, stati d'animo … fino alla richiesta all'altro di essere lui quel contenitore che si sente mancante dentro se stessi. I modi sono molteplici: dalla fanatica adesione al credo (politico, religioso, filosofico) del capo; alla acritica adesione ai modelli sociali dominanti; all'appoggio emotivo simbiotico con il partner … fino alla richiesta esplicita al tutore dell'ordine di essere incarcerato, come succede a Roberto M. Il motivo è sempre lo stesso: fammi da contenitore!

Rimane ancora da capire il senso di quello che la psicoanalisi definisce un "agito": quella necessità di rubare di cui Roberto non può fare a meno. Senza pretendere di analizzare il caso, si può però presumere che tale comportamento possa avere anche più di un significato: magari ripristinare qualcosa che si avverte come andato perduto, ad esempio un rapporto padre/figlio. Potrebbe esprimere aggressività, cioè un modo di privare qualcun altro di un oggetto per invidia e rabbia primitive; oppure potrebbe essere il tentativo di colmare con cose preziose appartenenti ad altri una povertà interiore sentita come molto profonda e dolorosa. Potrebbe trattarsi ancora di una reiterata protesta per un'attenzione ed un accoglimento che, nella storia infantile, non sono stati dati con sufficiente continuità dalle persone significative di riferimento. O potrebbero esserci altre ragioni ancora.

Quello che qui si vuole, però, cercare di mettere in luce è un fatto estremamente importante. Al di là delle varie strategie che si possono attivare più o meno inconsapevolmente per sopravvivere, ciò che si ricerca con esse è il tentativo di sfuggire al dolore mentale o se vogliamo, di affrontare tale dolore con delle azioni piuttosto che con il pensiero. E questo si può presentare in qualsiasi stadio della vita, anche in età adulta inoltrata, perché è lo stato mentale dominante che finisce per favorire l'azione rispetto alla riflessione e che provoca reazioni infantili invece di risposte adulte. Sta qui il dramma di ogni essere umano, di ognuno di noi, dunque, nel momento in cui ci si trova ad oscillare di fronte alle quotidiane fatiche della vita e alle difficoltà della realizzazione dei rapporti con gli altri.