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La pensione per gli anoressici

La notizia
La Corte Costituzionale ha posto fine ad una controversia legale fra una cittadina residente in Calabria e lo Stato, dichiarando la signora in questione invalida civile e meritevole, quindi, di una pensione di invalidità. La signora è stata dichiarata invalida al 100% perché non in grado di svolgere alcuna attività lavorativa in quanto anoressica.
Il Secolo XIX, venerdì 10 maggio 2002

Il commento
Questa notizia mi ha colpito perché attribuisce lo status di invalido civile a una categoria di persone molto particolare: coloro che soffrono di anoressia. L'anoressia è un disturbo sempre più diffuso, colpisce in prevalenza i giovanissimi e quasi esclusivamente il sesso femminile.

Generalmente si tratta del precipitare di una dieta che inizia, molto spesso, proprio in questo periodo: sta per arrivare l'estate e sembra essere necessario ''mettersi un po' in forma''.

Capita però qualche volta che la dieta, il peso, la linea, diventino improvvisamente l'unica ragione di vita e il cibo il principale nemico. Un nemico da dominare più che da eliminare.

I sintomi sono abbastanza precisi e individuabili: insorgenza prevalentemente nella fase adolescente o preadolescente della vita, scomparsa o non raggiungimento delle mestruazioni (questo capita sempre), raggiungimento di un peso assolutamente basso - meno di quaranta chili in una persona di media statura -, anemia, alternanza di ''abbuffate'' e di vomito indotto (bulimia), abuso di lassativi e di diuretici e vari altri disturbi organici e psicologici che possono evidenziarsi come ad esempio uno stato fortemente depressivo.

In corrispondenza a questo quadro clinico oggettivo si può abbinare un quadro psicologico: asserzione perentoria di non soffrire la fame, tentativo di tenere sotto controllo l'enorme interesse che ruota attorno al cibo, occuparsi ossessivamente di tutto quanto riguarda il cibo: ricette, diete, occuparsi degli acquisti, vivere secondo l'ideale della supremazia assoluta della mente sul corpo, secondo una visione irrealistica di sé facendo, ad esempio, un esercizio fisico smisurato per tenere sotto controllo il peso e il corpo in generale.

Credo che la visione di una persona che soffre di questa sindrome sia una esperienza molto dolorosa e toccante. Il primo impulso è quello di fare immediatamente qualcosa per porre rimedio istantaneamente a questo problema.

In realtà credo che l'anoressia sia, come qualunque altro disturbo, un segno, il segno che c'è qualcosa che non va a livello emotivo e, se non si prova ad affrontare quello, non è possibile fare molto.

Non si può combattere l'anoressia, sono troppo forti le ragazze che ne soffrono, bisogna provare ad ascoltarle mentre soffrono terribilmente e non si tratta di un compito semplice.

Capita che, ad un certo punto, non si possa fare altro che ricoverare la persona in ospedale e alimentare ''a forza'' la malata. Funziona quasi sempre: per qualche giorno si salva la vita della ragazza, ma non si va più avanti di così.

L'anoressia è, però, un disturbo particolare ed aiutare queste persone è più difficile. Si tratta di persone che diventano degli ''studiosi'' delle problematiche alimentari e nutrizionistiche. Si tratta di persone normalmente dotate che da un certo momento in poi diventano delle ANORESSICHE, cioè non si considerano più come soggetti, ma come la somma di tutte le qualità (la magrezza, per altro mai sufficiente) e i problemi di una anoressica. Una ragazza che soffre di anoressia smette una identità di genere difficile e problematica e assume l'identità di ANORESSICA, quasi fosse un terzo genere ancora non tanto conosciuto.

Per queste ragioni mi ha colpito questa notizia, sono certo sia stata letteralmente ''divorata'' da tutte le persone che soffrono di anoressia che probabilmente otterranno da ciò un rinforzo perverso alla identità che sembra essere l'ultima cosa che è loro rimasta.

Non intendo con ciò svalutare il problema o sostenere che una persona che soffre di anoressia possa o debba lavorare come tutti gli altri, sicuramente farà molta più fatica, voglio soltanto dire che in casi come questo è più che mai evidente l'inutilità di un supporto di questo genere che, quasi, spinge a mantenersi malate. Non tanto per l'assegno, quanto per il riconoscimento ottenuto, in questo caso anche a livello statale e istituzionale.

Per spiegare in breve come possa essere impegnativo il lavoro di psicoterapia con una paziente anoressica voglio portare un esempio tratto da un libro: Lo psichiatra, 'il suo pazzo' e la psicoanalisi, di Maud Mannoni, una psicoanalista francese.

Fra l'altro nel libro si parla di Sidonie, una ragazza di 17 anni che, dopo cinque ricoveri ospedalieri viene portata dalla psicoanalista. I medici dicono: Persa per persa può andare a trovare uno psicoanalista!

È probabilmente proprio il fatto che si sa che si sta facendo un tentativo ben sapendo che esiste la prospettiva di morire che consente alla psicoanalista di stare vicino alla ''bambina'' e alla bambina di vedere la psicoanalista.

Dice ad un certo punto Sidonie: Voglio provare al mondo che posso resistere fino all'estremo limite di resistenza alla morte. Bisogna lasciarmi andare fino là, lasciarmi fare ciò che voglio.

Probabilmente per la prima volta Sidonie trova qualcuno che ascolta ciò che lei dice e di conseguenza la rispetta, rispetta il suo desiderio dolorosissimo di morire. L'analista prova ad accettare e a soffrire insieme a Sidonie e acconsente al suo desiderio di rifiutare il cibo.

È come se la Mannoni dicesse: Va bene, ti accetto. Sia morta che viva. Il tuo desiderio è importante''. E in un rapporto umano, quale è quello analitico, se si accettano i desideri dell'altro è possibile che si crei, piano piano, lo spazio perché ne vengano formulati di nuovi e di diversi.

Nel caso di Sidonie è stato possibile, ad un certo punto, trasformare il pensiero ''voglio morire'' o ''Non voglio mangiare'' in ''Voglio vivere'', e non è, questa, un impresa più facile.

Concludo con le parole di Sidonie: Se perdo la mia malattia, non so che cosa guadagno alla fine. Io sono in un'impasse perchè non so quello che troverò... Tutti sono contenti se io guarisco, non si rendono conto che l'importante non è questo. Non comprendono che ciò che conta sono i miei desideri. Cosa serve che io viva, se sono condannata alla morte dei miei desideri?