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Senza conseguenze

La notizia
Violenze: sette anni al baby sitter. Sette anni e mezzo di carcere. Questa la dura condanna inflitta ieri dal giudice Andrea Beconi a Luciano T., 44 anni. Il pm Giovanni Arena aveva chiesto otto anni. L’uomo doveva rispondere di un reato infamante: violenza sessuale ai danni di Saverio L.S. un bambino di sette anni, che gli veniva saltuariamente affidato dai genitori, fuori casa per motivi di lavoro. L’imputato rischiava 12 anni di prigione: gli è andata se vogliamo bene, perché il suo difensore, avvocato Andrea Martini, è riuscito a concedere le attenuanti generiche. I genitori della piccola vittima si erano costituiti parte civile, assistiti dagli avvocati Giuseppe Maria Gallo e Paolo Scovazzi. Luciano T. ha sempre respinto l’addebito, ma ieri ha preferito disertare l’aula. Per il suo turpe comportamento ha scontato appena sette mesi di reclusione: si dà comunque per scontato che se la sentenza diventerà definitiva ritornerà definitivamente a Marassi, quanto meno per qualche anno. Baby sitter d’eccezione, perché i coniugi L.S. – titolari di un esercizio nella zona di Marassi- avevano fiducia in Luciano T., tanto che spesso gli davano ospitalità anche di notte. Una fiducia mal riposta, però, perché l’uomo ne approfittò in maniera ignobile. Abusò infatti del bambino per mesi, dal luglio del Duemila al gennaio dell’anno successivo. Fu la colf della famiglia a scoprire che il turpe individuo compiva - talvolta costringendolo e persino minacciandolo - atti innominabili (per fortuna senza conseguenze irreparabili) sul bambino. Di giorno e di notte. Saverio, pur traumatizzato, confermò ogni cosa, senza mai contraddirsi: prima ai genitori, quindi alla polizia e infine a due psicologi. Nel gennaio 2001 Luciano T. entrò a Marassi, per uscirne però sette mesi dopo. (ViC.)
>La Repubblica, 28 marzo 2003

Eraldo Walter Machet Il commento
[…] per fortuna senza conseguenze irreparabili. E’ proprio questa frasetta messa lì come inciso, fra parentesi, che mi ha suscitato il bisogno di andare oltre all’immediato vissuto di costernazione provocato dalla notizia di questo fatto. In tal senso l’approccio psicoanalitico può essere utile per varie ragioni: anzitutto perché tende a non interpretare i fatti nella loro immediatezza. Questa immediatezza corre il rischio di portare con sé il germe del preconcetto e dell’ideologia codificata, atteggiamenti questi che impediscono di entrare in contatto con il significato più intimo e più proprio di ciò che è avvenuto. Inoltre, tale approccio permette di giungere ad una comprensione più meditata e più profonda, anche se più dolorosa, dell’accaduto. Solo così si può evitare la tentazione di semplificare una realtà mentale che si rivela sempre molto complessa e profondamente densa di significati. I sogni dei nostri pazienti, i sintomi che essi portano (fisici e/o psichici), le difese che attivano, la disperazione che provano di fronte al ricordo dell’abuso: tutto questo ci permette di cogliere e di conoscere quello che può essere rimasto permanentemente nell’interiorità di una persona che ha subito tali violenze.

Parlare della seduzione nell’infanzia significa fare immediatamente riferimento a quella interazione emotiva che si instaura tra adulto e bambino sino dai suoi primi istanti di vita. Il neonato, sia per la conformazione fisica che per il tipo di segnali che invia, ha un comportamento naturalmente seduttivo che gli consente di compensare la sua fragilità e la sua vulnerabilità e quindi, in definitiva, di sopravvivere. Questa “seduttività” attiva, a sua volta, risposte “seduttive” ed accoglienti: gli adulti si rivolgono al piccolo con tenerezza, con gesti affettuosi; egli viene cullato, dondolato, stretto al seno, insomma, viene curato e protetto. La holding - direbbe Winnicott - la capacità, cioè, della buona madre di contenere e sostenere il figlio è, in fondo, come già osservava Freud, una forma primaria di seduzione che, nel suo aspetto positivo, risulta fondamentale, per la determinazione della qualità della vita futura del bambino. Sia per la sua capacità di porsi nel rapporto con gli altri e con il mondo e sia per la capacità di lasciarsi sedurre dalla curiosità per le cose che lo circondano. La seduzione primaria, sempre mantenendo il riferimento a Freud, può assumere, però, anche aspetti invasivi, incontrollati, addirittura traumatici. In questo caso l’atteggiamento che nel futuro il bambino avrà nei confronti degli altri e della realtà in genere sarà dominato da una difensiva chiusura in sé, dal sospetto e dalla paura. Ma che cosa succede nella mente del bambino che subisce l’abuso sessuale? Il bambino, a motivo della sua immaturità fisiologica e psicologica, è incapace di integrare tale esperienza nella sua mente e, proprio per questo, l’esperienza stessa assume le caratteristiche del trauma.

Nel rapporto tra adulto e bambino, in quel tipo di interazione amorosa, si giunge a quella che Ferenczi con profonda acutezza, ha definito “confusione delle lingue”. L’adulto introduce nel linguaggio della tenerezza del bambino il proprio linguaggio della passione, sostituendo “al ruolo materno”, che il bambino aspetta e chiede, quello del desiderio sessuale. A questo fraintendimento primario della comunicazione, a tale anomalo comportamento dell’adulto, il bambino non può che rispondere sviluppando paura ed angoscia, ma anche adeguandosi alle richieste dell’adulto, per timore della sua stessa sopravvivenza affettiva, se non addirittura fisica. Egli piccolo ha bisogno, infatti, di adulti che lo aiutino a diventare grande, a sviluppare quelle funzioni mentali che ancora non possiede e che pure sono indispensabili alla vita. Ha bisogno di qualcuno di cui fidarsi e che lo sorregga, qualcuno da amare ed accettare. In questo caso, però, l’accettazione comporta l’identificazione, il fare proprie le richieste che giungono dal mondo adulto. Assolvendo a quelle richieste, il bambino consegna il suo corpo ad altri. Il suo stesso corpo in effetti gli viene alienato e cessa di appartenergli. L’alienazione del corpo e, con esso, della sessualità accade in ragione di un vissuto passivo, concepito unicamente per compiacere l’altro, per rendersi sicuri del suo amore, all’interno di una frattura che separa sempre più profondamente affettività e sessualità. Tale alienazione o “assenza” del corpo con cui si è tentato, in qualche modo, di tamponare gli effetti dell’aggressione subita, appare evidente soprattutto nell’esperienza di molte persone che portano in analisi il loro subire passivamente, o il loro agire in modo scisso, la sessualità, senza mai viverla pienamente. In loro continua quell’assenza, assediata, in alcuni casi, dal ricordo di eventi passati, ora presenti, però, come semplici fatti, isolati dalle emozioni un tempo provate.

Ma ciò che sto chiamando alienazione del corpo non è l’unica cosa che accade. Infatti, fare proprie le richieste che giungono dal mondo adulto, unico modo, si diceva, per salvare la sopravvivenza psicologica, comporta per il bambino la necessità di procedere anche ad una alterazione dell’Io. Ferenczi, nei suoi studi, espone dettagliatamente i motivi per i quali si altererebbe lo sviluppo dell’Io: la genitalità del bambino non ha ancora superato lo stadio dei “toccamenti innocenti, privi di passione”, che già l’atto seduttivo devia il suo desiderio fino a fargli assumere un ruolo che non gli appartiene, lo conduce altrove, lo confonde circa la verità della sua maturazione biologica, psicologica ed affettiva. Più precisamente, nel contesto dell’abuso sessuale, al corpo, come alla psiche, è chiesto con autorità (l’autorità dell’adulto) di essere quello che ancora non è: individuo maturo e definito che come tale si comporta. La richiesta di inventarsi una impossibile realtà adulta produce nel bambino intensi vissuti di inadeguatezza e di impotenza. Alla fine, pressato da una esigenza che non può non esaudire, egli può cercare di crearsi artificiosamente una personalità molto lontana da ciò che effettivamente sente di essere in quel preciso momento, può dare vita a quello che Winnicott definisce “Falso Sé”. E per mantenere a tale falso sé una qualche consistenza è per lui necessario cominciare a dubitare delle personali percezioni, percezioni che continuano a testimoniargli come lui sia ancora piccolo e bisognoso di crescere. Non solo: quelle stesse sensazioni gli portano, magari, sentimenti di rabbia e di aggressività nei confronti dell’adulto. Sono emozioni che lo impauriscono e lo spaventano. Lui solo, tra tutti i suoi amici, sente un non confessabile odio nei confronti di coloro che più dovrebbero accudirlo. Si sente diverso, sbagliato e in pericolo: la sua “cattiveria” può farlo rimanere da solo per sempre. Anche in questo caso l’unica soluzione possibile sembra quella di non sentire più i sentimenti effettivamente esperiti, cercando di sostituirli con altri apparentemente più appropriati. Per diversa strada, è ancora la soluzione del “falso sé” che si presenta come l’unica attuabile.

Melanie Klein ci ricorda, ancora, come nel normale processo evolutivo, il bambino necessariamente investe le figure genitoriale, come degli adulti che di lui si occupano, di sentimenti contrastanti: l’odio e la rabbia, di cui inevitabilmente fa esperienza già nei primi mesi di vita, vengono scissi e proiettati su tali figure, che si trasformano così in mostri provvisori, per poter essere poi riabilitati dalla fantasia del bambino, e ancora investiti dalla proiezione del suo amore e del suo desiderio. Lo spazio immaginativo si popola, allora, di figure capaci di riversare, alternativamente, amore e odio sul bambino: ma è ben diversa una costruzione immaginaria dell’adulto come mostro, da un adulto che fa qualcosa di davvero mostruoso. Di fronte al peso della realtà, il teatro immaginario del bambino, nel quale si svolgono e continuamente si alternano fantasie appaganti e mostruose, si incrina e si frantuma. Quell’adulto davvero seduttivo, davvero violento, ha invaso l’immaginario e vi ha lasciato il segno. Quello che poteva essere un normale desiderio affettivo verso quella figura genitoriale non ha più uno spazio nel suo mondo mentale. Nel momento in cui il bambino subisce realmente le attenzioni moleste dell’adulto, la fantasia diventa una realtà di fatto schiacciante, capace di soffocare ed inibire la sua funzione immaginativa e simbolica. Il reale invade lo spazio del sogno. .L’effetto provocato è quello dell’irruzione improvvisa di uno squadrone di polizia nella propria casa, nel cuore della notte: fa sentire confusi, smarriti, terrorizzati. Paralizzato nella sua capacità di immaginare infinite possibili soluzioni creative, il bambino rimane inchiodato all’unica, irrimediabile realtà: quella dell’oggettiva violenza subita. Il fatto è lì, nella sua feroce concretezza, il bambino smette di essere un soggetto che sogna, immagina, si arrabbia, desidera. Anche se la sua vita procederà oltre, qualcosa si è arrestato proprio lì, nel fatto. Quel fatto che si può persino credere senza conseguenze.

Il bambino, infine, può anche tentare di sottrarsi all’esperienza traumatica “rifugiandosi in sogni ad occhi aperti”, assolvendo come un automa, i compiti che gli sono richiesti. E’ in questi tentativi che si incrina la sua capacità di distinguere fra vero e falso, tra bene e male, tra giusto e ingiusto e, soprattutto, fra desiderabile e indesiderabile. E siccome la seduzione è violenta e si accompagna ad altre violenze, si suggerisce al bambino uno stretto legame tra sessualità e violenza. Quella che dovrebbe essere una forma d’amore diventa così una forma di odio, di disprezzo, esattamente il contrario di ciò che etimologicamente suggerisce il termine pedofilia, amore per i bambini.