Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorarne l'esperienza di navigazione e consentire a chi naviga di usufruire dei nostri servizi online. Se prosegui nella navigazione acconsenti all'utilizzo dei cookie.
Per maggiori informazioni leggi la privacy policy e la cookie policy presenti nel sito.

Accelerazione

La notizia
Povero Kato, lotta con la morte. La rivolta dei piloti: “Qui non dobbiamo correre più”. Sotto accusa la pista. Rossi: “Non si può rischiare di morire ad ogni curva”. Ma gli organizzatori negano: “Poteva accadere ovunque”.
La Repubblica, 7 aprile 2003

Il commento
Un incidente in una corsa automobilistica, o tanti incidenti ad ogni weekend. Spesso mi chiedo cosa rappresenti per l’essere umano la spinta all’accelerazione. Essa è certo una linea di tendenza che ha connotato progressivamente in intensità il nostro passaggio sul pianeta Terra e ha conquistato tutti gli aspetti del vivere nel secolo che abbiamo appena valicato.

L’accelerazione, dice la definizione, è la variazione di velocità di un mobile riferita all’unità di tempo. Ogni movimento nostro è un’accelerazione perché non riesco a pensare ad un elemento conosciuto che non sia mobile ma ci sono accelerazioni che abbiamo realizzato nei millenni e sono connaturati al nostro equilibrio psicofisico. Anche l’inconsapevolezza della velocità con cui viaggiamo insieme al nostro pianeta è un elemento del nostro equilibrio. Certo noi non conosciamo la quiete totale, ma solo movimenti percepibili o non percepibili. La materia inorganica è una illusione di quiete.

Mi sono chiesta quanto un’accelerazione fisica o psichica possa interferire con il senso di equilibrio che millenni di vitale bilanciamento di tutte le forze hanno creato nell’essere umano. Il bellissimo testo metapsicologico di Sigmund Freud “Al di là del principio di piacere” del 1920 affronta cautamente e coraggiosamente gli enigmi della vita e della morte, della coscienza e della nozione di tempo sia con gli strumenti scientifici allora conosciuti, sia con la nuova disciplina psicoanalitica. Ma la grandezza di Freud sta, a mio parere, nel fatto che qualunque affermazione di Freud è insieme una domanda che i prosecutori hanno continuamente reinterpretato in modi sempre nuovi. Ad un certo punto in questo testo si dice:

Dal fatto che lo strato corticale che riceve gli stimoli non dispone di un rivestimento protettivo contro gli eccitamenti che provengono dall’interno, discende necessariamente che queste trasmissioni di stimoli acquistano un’importanza predominante dal punto di vista economico, dando spesso origine a disturbi economici che possono essere paragonati alle nevrosi traumatiche. Le fonti di tale eccitamento interno sono in massima parte le cosiddette pulsioni dell’organismo, che fungono da rappresentanti di tutte le forze che traendo origine dall’interno del corpo vengono trasmesse all’apparato psichico, e che costituiscono l’elemento al tempo stesso più importante e più oscuro della ricerca psicoanalitica.

Il mio riferimento a questa frase di Freud fa capo all’ipotesi che qualunque accelerazione, anche un’accelerazione meccanica su un mezzo meccanico, possa modificare appunto “le fonti dell’eccitamento interno” che “ sono in massima parte le cosiddette pulsioni dell’organismo ecc.”

La teoria freudiana della “Pulsione di vita” e “Pulsione di morte”, può non trovare d’accordo molte correnti della Psicoanalisi, però il concetto di pulsione come fattore psichico e somatico sta alla base del nostro pensare il lavoro clinico.

Io mi chiedo quanto l’accelerazione del nostro modo di vivere, in qualunque ambito realizzata, sia correlata direttamente alla pulsione di morte o comunque si voglia chiamare l’elemento che concorre alla dinamica universale e che conflittua perennemente per una rottura dell’equilibrio raggiunto dalle forze in campo. L’accelerazione in qualunque contesto si intenda, fisico , organico, psicologico, tende a modificare l’organizzazione nella quale ha inizio.

Nello stesso testo Freud ribadisce l’importanza della “Coazione a ripetere”, “espressione della natura conservatrice degli esseri viventi” (Idem). Comunque si voglia chiamare, la tendenza a ripetere è un’esperienza quotidiana nel lavoro e nella vita di ognuno di noi. Mi chiedo: “ C’è un momento in cui accelerare in qualunque contesto, supera la nostra capacità di fermarci e tende alla ripetizione, conducendoci alla trasformazione e dunque all’accelerazione zero?

La domanda parallela è quanto la cosiddetta pulsione di vita sia tesa al movimento, e quanto un movimento che raggiunge un culmine esiti nella pulsione opposta, perché tende al ritorno all’immobilità, o velocità diversa.

Chissà che la coscienza non sia frutto di una qualche accelerazione neuronica stabilizzatasi poi in una nuova organizzazione. Certo l’insigth viene vissuto come un’accelerazione che permette poi un pensiero successivo come stabilizzato.

L’equilibrio di tutte le nostre funzioni mentali comincia e si regge sul nostro sentirci stabilmente situati nello spazio e nel tempo condivisi.

Quanto l’accelerazione permette di sperimentare le nostre capacità di equilibrio spazio/temporale e quanto ci spinge a sfidare la rottura di questo equilibrio?

Una accelerazione che conduca al punto psichico di non ritorno cioè il punto in cui la pulsione di morte, direbbe Freud, prende il sopravvento è la conseguenza di una serie di variabili psichiche a cui noi diamo nomi diagnosticando psicosi, nevrosi, sindromi.

Accelerare vuol dire avvicinarsi al momento di rottura in cui quelle che Freud chiama pulsioni di vita, Eros e organizzazione lasciano il campo alle pulsioni di morte, la tendenza all’indifferenziato o a movimenti diversi che comunque determinano la fine di ciò che noi chiamiamo la nostra unica vita cosciente.

Ma succede che la tendenza alla velocizzazione non è caratteristica di coloro che noi psicologi avviciniamo a tutte le personalità a rischio di regressione, è caratteristica strutturale del lavoro umano del nostro tempo storico. E allora?

Non è facile spiegarlo agli scienziati che lavorano nella ricerca dei viaggi interplanetari e poi ciascuno di noi chiama ebbrezza proprio l’emozione che alla velocità e all’accelerazione fa riferimento.

L’accelerazione però è un’espressione del dinamismo e ha in sé le radici sia di Eros che di morte. Se il momento storico ci rimanda una immagine di tendenza all’accelerazione più intrisa di pulsione di morte sappiamo anche che questa non può che convivere con la tendenziale pulsione opposta. Certo tutto questo non tiene conto del numero delle vittime, della loro sofferenza.

Come terapeuti possiamo solo occuparci di intime accelerazioni e lavorare per visibili lentezze. E’ come se noi terapeuti fossimo al servizio di quel gruppo di pulsioni che, come dice Freud nel testo citato: […] non si precipita in avanti per raggiungere il fine ultimo della vita al più presto possibile”, ma “ giunto ad un certo stadio di questo percorso, ritorna indietro per rifarlo nuovamente, a partire da un determinato punto e prolungare così la durata del cammino.