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Quando l'abito fa il monaco

La notizia
L'industriale sui teenager. "Infedeli ed esigenti". L'industria della moda salvata dai teenager. Gli unici ormai a spendere per vestirsi: compro, indosso, mi stufo, butto e ricompro. Lo afferma uno che se ne intende, l'industriale della moda fiorentina Alessandro Bastagli che con la sua azienda A.Moda produce e distribuisce ben tre marchi giovani, da Everlast a Alpha Industries e ora anche Muscle, che veste i cantanti Neck e Cremonini e promuoverà 50 concerti da adesso all'anno prossimo.
La Repubblica, venerdì 20 giugno 2003

Eraldo Walter Machet Il commento
Mi colpisce questa intervista dell'industriale fiorentino Alessandro Bastagli sui teenager, definiti sbrigativamente "infedeli ed esigenti" nei confronti della moda. L'interesse della psicoanalisi per l'età adolescenziale, anche se relativamente recente rispetto alle prime fasi dello sviluppo umano, credo che ci possa aiutare a comprendere meglio anche il fenomeno della moda giovanile.

Come è noto, con la pubertà si verificano quelle trasformazioni fisiologiche ed emotive che con l'adolescenza si consolidano a raggiungere una stabilità nell'età adulta anche attraverso quell'immagine corporea di sè, unica ed irripetibile. Ma queste trasformazioni del corpo sono sempre fonti di grosse angosce, come Kafka ha saputo cogliere suggestivamente in quella "metamorfosi" di Gregorio Samsa da essere umano a ripugnante scarafaggio: simbolo tragico, questo, del rifiuto, del sentirsi indegni, inferiori, sgradevoli al punto tale da non poter più essere accettati. I cambiamenti fisici, sottolineano infatti gli psicoanalisti, sono sperimentati inconsciamente come la richiesta di cambiare l'immagine di sè esistente e la pubertà può allora rappresentare la perdita di quell'immagine idealizzata che ha permesso al bambino di un tempo di sentirsi sicuro ed amato. Da qui il "doloroso distacco" dalla famiglia di cui parla Freud nei "Tre saggi sulla teoria sessuale", che può portare il giovane a diventare una persona relativamente consapevole delle proprie capacità e dei propri limiti, in grado di proseguire, nello sviluppo della propria identità, malgrado quelle difficoltà e confusioni da Melzer evidenziate nella "Teoria psicoanalitica dell'adolescenza". Oppure può condurre a diventare un individuo continuamente bisognoso di riconoscimenti esterni, insicuro, nel quale il "falso Sè", cioè il Sè sociale direbbe Winnicott, prevale sempre più sul "vero sè".

La moda, sotto questo punto di vista, può essere considerata come espressione appunto di quel Sè sociale, "come una sorta di involucro protettivo rispetto al vero Sè, un contenitore facilmente scambiabile e senza gravi danni per la persona ... (che) lo sappia utilizzare" (S.Stella in "Relazioni sviluppo", cap.7 pag.178 ed. Boringhieri TO, 1990). In questo contenitore l'adolescente può sentire di trovare allora un sostituto alla famiglia della quale sta faticosamente cercando di prendere le distanze, in una sorta di identificazione con la moda e con il gruppo dei pari. Ecco perché più che in ogni altra età della vita e più che in ogni altro ambito, esiste nell'adolescente una vera e propria religione del vestire, anche se non è sempre stato così. Ancora nel XIX secolo l'abbigliamento era segno dell'appartenenza di classe, e in questo spazio il giovane si vestiva ... secondo il costume. In una società, come la nostra, in cui si esalta l'espressione (e lo sfruttamento) di valori individuali, quell'uniforme segno visibile d'appartenenza ad un ambiente, ad un ceto, ad un'istituzione, perde la sua funzione identificante. Ma, paradossalmente, in quest'aria di libertà nel vestire si ricreano delle vere e proprie "sette", dei gruppi con un certo numero di regole, con la condivisione di ideali comuni, la definizione di un certo modo di essere tra di loro e di porsi nei confronti degli adulti. L'impressione però è che questa coesione emerga più dal senso che accordano all'abbigliamento, ad una sua virtù magica di far scomparire la loro insicurezza, più che della condivisione di valori sul piano ideologico o anche solo sul piano estetico. Questo dell'adolescenza è dunque un tempo in cui si può davvero dire che è l'abito che fa il monaco. L'abbigliamento qui è davvero una "seconda pelle", in grado di sostenere un narcisismo fragile, la cui virtù di rassicurazione è assoluta. "Il vestito" acquista così una virtù protettiva in grado di tenere a distanza le minacce reali o meno che vengono dal mondo esterno, ma ancor più - stando alle osservazioni psicoanalitiche - in grado di impedire lo straripamento di ciò è vissuto nel proprio mondo interno. Scrive A. Birraux in "L'adolescente e il suo corpo" (ed. Borla, Roma, 1993): “Si conosce la sensibilità degli adolescenti agli standards proposti dai media: ciò che è più difficile misurare è il loro grado di libertà in rapporto a questi modelli e la loro capacità di discriminazione di ciò che appartiene al loro desiderio, da ciò che essi percepiscono come norma alla quale sottomettersi per essere riconosciuti e riconoscersi. E' difficile valutare ciò che appartiene ad una scelta emblematica autentica; la fragilità del loro sentimento di esistenza li porta in effetti a sperimentare la realtà nella diversità dei suoi modelli, nel tentativo di accrescere la certezza relativamente al loro sentimento d'esistenza” (pag.161).

Ora, è in questo desiderio di sostituire con un'immagine esterna che rappresenta un certo valore, un'immagine interna vissuta come inafferrabile e portatrice d'incertezze dolorose, che il corpo rivestito di certi indumenti (e anche ornato ed acconciato in un certo modo) può servire per sovvertire l'autenticità dei desideri del giovane piegandoli alle esigenze di mode effimere che danno, anche se per poco tempo, la certezza di esistere o "la coscienza di essere". Un po' come se gli attribuiti dell'oggetto, dell'ornamento, dell'abbigliamento fossero sentiti dal ragazzo come attributi propri, dei distintivi che gli conferiscono un valore, se non addirittura, una identità. E' in questo senso allora, che ben emerge, come non è il sistema sociale, con l'industria della moda, a creare questo bisogno. Il vero "grande stimolo" è l'incertezza interiore dei teenager è il vuoto profondo di "oggetti" che hanno segnato le prime relazioni infantili, che si ritrovano nel corso di tutta la vita, che in questo periodo si fanno acutamente sentire.

Sappiamo che non c'è cambiamento, non c'è evoluzione senza sofferenza ed anche questa esigenza del giovane di un loock da rinnovare continuamente è una manovra il cui scopo è chiaro: evitare quella sofferenza. E, qualunque essa sia: immaginaria o reale, esterna o interna, pericolosa o meno, la sofferenza non può essere ignorata o trattata come un capriccio, o pensata come uno stato transitorio che prima o poi troverà una soluzione spontanea; essa va ascoltata, prima di tutto dagli adulti, perché sempre più spesso è proprio l'adolescenza il periodo della vita più colpito dal rimosso, che poi viene portato in analisi.