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C'era una volta

La notizia
Nell'articolo "Le gatte con gli stivali" Giacomo Leso riferisce dell'ultima fatica letteraria di Christine Angot e Catherine Millet, note scrittrici francesi contemporanee . Invitate dall'editore Stock in occasione del trecentesimo anniversario della morte di Perrault, le scrittrici reinterpretano ognuna una fiaba (rispettivamente in due diversi libricini), raccontando, con una sorta di autofinzione, la loro vita. "Pelle d'asino" e "Riccardino dal ciuffo" diventano spunto per parlare di incesto e nevrosi.
L'espresso, 31 luglio 2003

Il commento
Fin dal titolo l'articolo, peraltro inserito nella sezione "Cultura", evoca immagini di seduzione femminile (le gatte) supportate da elementi più mascolini (gli stivali), e proseguendo la lettura invia, oltre che al contenuto di un paio di fiabe di Perrault, alla biografia intima e "stuzzicante" delle autrici.

In questo caso delle protagoniste della riscrittura fiabesca si sa tutto o quasi. Christine Angot, "Pelle d'asino-bella addormentata" svegliata da un bacio incestuoso, è conosciuta in Francia per avere scritto sul tema dell'incesto; Catherine Millet, che già ha pubblicato raccontando della propria vita sessuale, si cala ora nei panni di bella principessa che incontra il brutto di turno e ripropone una vicenda analoga a quella della Bella e la Bestia.

Del resto Perrault - sulla cui produzione esiste una considerevole letteratura - pur attingendo alla favolistica popolare, dato che le sue fiabe erano destinate anche alla corte di Versailles, intervenne con abbellimenti e simulazioni: "Nei fervorini e nelle morali aggiunte alle storie, Perrault parla come se stesse strizzando l'occhio agli adulti al di sopra delle teste dei bambini". Così si esprime Bettelheim (da Il mondo incantato, 1977, p.163), che sottolinea altresì come Perrault, nel tentativo di portare un messaggio morale, impoverisca le vicende raccontate lasciando poco spazio all'immaginazione dell'ascoltatore e alla possibilità di trasferirvi i propri contenuti personali.

Anche le due autrici probabilmente strizzano l'occhio al loro pubblico, parzialmente in linea con l'Illustre di cui si fanno interpreti. Mostrano però l'altra faccia del discorso moralistico, sollevando la cortina polverosa del "non si fa" e "non si dice".

Ci si può interrogare sulla fiaba nel mondo di oggi e non si può fare a meno di concordare con Bettelheim sulla preferenza ad esempio per la versione integrale delle fiabe raccolte dai fratelli Grimm, che riescono a parlare non solo ai bambini, ma anche agli adulti che sappiano porgere orecchio.

Le fiabe dei Grimm, come alcune delle "Mille e una notte", o molte altre della tradizione dei vari popoli, ci trasportano in un tempo e in un luogo lontani, dove possiamo permetterci, al pari di ciò che avviene nello scenario onirico, di lasciarci andare senza che nulla ci venga chiesto. Possiamo allearci con le nostre parti più obsolete e perdenti, quelle che solitamente non hanno voce nella vita di tutti i giorni, e seguirle nei loro percorsi di riscatto e di sicura riuscita, cogliendo le tracce di possibili evoluzioni alternative al presente.

Per i primitivi raccontare e ascoltare fiabe era vitale; l'uomo contemporaneo, inflazionato di contenuti razionali, potrebbe forse trovare proprio nella dimensione fiabesca alcune esperienze di vita che non ha modo di esperire. Ma i modelli fiabeschi - come quello che riguarda l'essenza del principio femminile - possono aiutarci a fare luce ad esempio sulla femminilità, solo se sono così astratti e vaghi da portarci su un piano simbolico e non concreto: "In tal modo queste storie parlano alla nostra anima e c'illuminano senza erigere schemi di comportamento e allo stesso tempo senza defraudarci della responsabilità tutta nostra di trovare la via interiore a noi stessi" (M.L.von Franz, Il femminile nella fiaba, 1983, p.205).

Pur nel contesto di una polemica diretta all'approccio superficiale di taluni psicologi che si accostano al testo letterario per trovare conferma a teorie psicologiche prestabilite, anche Yehosha sottolinea la necessità del fragile equilibrio fra l'unicità di un personaggio letterario e la sua genericità, necessari al processo di identificazione del lettore (Yehoshua, "Sul lettino non c'è poesia", in La Stampa - tuttolibri, 19 luglio 2003).

In conclusione ci piace osservare che "le gatte con gli stivali" si possono certamente confrontare con principi, Riccardini, belle e brutte addormentate, ma possono riscrivere solo se stesse.