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La psicoterapia a confronto

La notizia
All'interno di un'inconsueta indagine condotta da Altroconsumo, ad un campione di 14 mila europei – di cui 2.550 italiani – in terapia da almeno sei mesi o che l'abbiano terminata da non più di due anni, è stata chiesta una valutazione dei risultati ottenuti. Un confronto tra scuole e figure professionali per capire a chi è meglio rivolgersi per guarire le ferite dell'anima.

Donna, settimanale di Repubblica, 2 agosto 2003

Il commento
La notizia è un po' particolare perché certamente non di attualità, visto che risale alla calda estate appena trascorsa. La tematica, però, riesce a catturare: la psicoterapia serve? Altroconsumo ha cercato di conoscere la valutazione di chi ha fatto questa scelta, forse oggi non particolarmente popolare. L'indagine un po' sorprende per la positività non attesa delle risposte. Ecco i risultati: psichiatri e psicologi realizzano il pareggio quando si tratta di rispondere alla domanda: il problema che vi ha portato a cercare un aiuto, è migliorato? Il 75% dei pazienti degli psichiatri e il 74% di quelli degli psicologi rispondono affermativamente. Una successiva domanda, però – le vostre relazioni con gli altri sono migliorate?- pone già delle differenze: è si per il 63% di coloro che si sono rivolti ad uno psicologo e sempre si per il 49% di quelli che sono andati dallo psichiatra.

Il fatidico quesito: vi godete di più la vita grazie alla terapia, ha una risposta affermativa per il 67% di coloro che sono andati dallo psicologo e per il 44% di quelli che si sono rivolti allo psichiatra. Ancora: conoscete meglio voi stessi? trova parere positivo per il 76% dei pazienti degli psicologi e per il 67% dei pazienti degli psichiatri. Infine, un'aumentata fiducia in se stessi è fatto che accade al 73% del partito degli psicologi e al 58% del partito degli psichiatri.

Per essere precisi, sotto la voce psicologi sono comprese differenti scuole e modalità di intervento. Dal momento che, come ricorda Massimo Ammaniti, la cui intervista è riportata all'interno dell'articolo, le scuole di psicoterapia sono molteplici e, accanto all'approccio psicoanalitico, se ne pongono molti altri, da quello cognitivo-comportamentale a quello sistemico-familiare, dagli interventi di tipo psicosociale alla gestalt, il sondaggio di Altroconsumo ha tentato di tenere conto della pluralità, scegliendo tre indirizzi rappresentativi per tutti: quello psicodinamico, quello cognitivo-comportamentale e quello dei gruppi di autoaiuto.

Gli esiti del sondaggio, dicevamo, sorprendono, li sentiamo in contrasto con lo spirito dei tempi che elegge velocità ed immediatezza a valori per sé fondamentali. Uno spazio dedicato all'introspezione, alla ricerca dei personali significati interiori, spesso viene sentito come tempo sprecato e, proprio per questo, inutile ed inefficace. Così, non ci aspetteremmo che una psicoterapia venga valutata in modo positivo e, ancor meno, che l'intervento dello psicologo risulti più soddisfacente di quello dello psichiatra. Non solo: a guardare i dati nel loro dettaglio, emerge che l'intervento cognitivo-comportamentale raccoglie meno favori di quello psicodinamico. Anche questo è fatto decisamente inatteso; dal momento che il cognitivismo interviene localmente solo sul sintomo, volutamente disinteressandosi della retrostante strutturazione di personalità, ci saremmo attesi il maggiore consenso proprio per questo metodo.

La preoccupazione della società in cui viviamo sembra, infatti, decisamente orientata all'eliminazione di ogni imperfezione, quindi del sintomo, inatteso e fastidioso neo che altera e ferisce il senso della propria efficienza ed integrità.

Che cosa ho mai fatto per meritarmi tutto questo! Un destino cieco, incomprensibile nella sua ostilità, ha aperto piaghe dolorose ed impresentabili. Sapevo bene quello che volevo diventare ed invece, contro la mia volontà, l'esistere si è fatto sentiero interrotto che non conosce più destinazione possibile. A dire la verità, tutto è iniziato in modo impalpabile, come cosa di poco conto, un contrattempo a cui dedicare l'attenzione di qualche rimedio occasionale, ai margini della coscienza. Però la faccenda non si è fatta dimenticare; con sorpresa, anche dopo tempo, si è ripresentata immutata con la pretesa insopportabile, quella dell'ultimo parvenu, di avere aria di famiglia. Ogni volta appesantita da una quantità muta di incomprensibile consistenza. E poi la violenza dell'invasione, la vita risucchiata nel suo futuro. Nulla sembra più importante, ormai, di quel problemuccio, niente è sopravvissuto.

Se solo questo non ci fosse, se solo scomparisse quell'ansia sudaticcia sulle mani, se potessi consegnare la tesi, se lui finalmente cambiasse, se avessi più amici, se la smettessi di arrossire nei momenti meno indicati, quando tutti mi guardano...

Il desiderio è quello di liberarsi di una quantità negativa che avvelena l'esistere, poterlo fare subito, preferibilmente senza essere presente. Paradossalmente, se la terapia prevedesse l'uso di strumenti chirurgici, i dubbi e le perplessità nei suoi confronti potrebbero essere minori. L'anestesia, l'intervento ed ecco eliminata la causa del malfunzionamento e del dolore, ecco eliminato l'agente estraneo portatore di disordine, rispetto a cui terapeuta e paziente sono alleati in vista di una di una distruzione radicale. Una logica bellica volta allo sterminio. La parte malata, dolorosa e pericolosa imperfezione del creato, è poi buttata via; sia il terapeuta chwe il paziente, nulla ne vogliono sapere.

Se l'intervento psicochirurgico è una fantasia, certo il farmaco può essere sentito come il rimedio più idoneo ed efficace. Si "aggredisce" il sintomo e, dall'esterno, si cerca di restituire all'organismo quello che gli occorre per funzionare bene. Tutti sono animati da buone intenzioni, attenti, generosi; è solo il sintomo che si assume il male di tutto, sorta di catalizzatore di qualsiasi anormalità.

Se solo questo non ci fosse!

Pensandoci, nonostante il tempo, anni e millenni, il nostro stupore è ancora quello di Fedone che ascolta Socrate formulare le sue ipotesi: "Stando così le cose, dobbiamo allora ammettere due ordini di esseri:, quelli che si vedono e quelli che non si vedono". Il nostro pensiero di atomi e molecole cartesiane, ammette verbalmente, ma di fatto, non riesce ad immaginare ed accettare quell'essere che non si vede. Non è questo o quel singolo elemento, è la vita stessa ad essere rifiutata. Sono le emozioni a non esserci, epifenomeno marginale di un funzionamento organico che procede secondo leggi descritte dalla biologia, dalla fisica, dalla precisione scientifica. I nostri sentimenti ci sembrano un effetto assolutamente accidentale e non significano nulla per noi se non il perdurare di una debolezza, vergognosa fragilità infantile.

In effetti, è un peso insostenibile la coscienza di noi stessi: quel rossore ricorda che temiamo e desideriamo, che tutto non è sotto controllo, che la nostra vita può essere cambiata da eventi insignificanti e di poco conto come uno sguardo, una carezza, una telefonata mancata. E noi, signori della guerra, conquistatori della Luna, non abbiamo potere, anche una parola può farci piangere. Siamo fragili, dipendenti dai nostri sentimenti e dagli altri che questi sentimenti suscitano in noi.

E' forse questo ciò che non può essere pensato, l'orrore di una minorità balbettante ed impacciata fatta di limiti, di mancanze, di dipendenza. Un controsenso rispetto all'uomo che vorremmo essere, che tutti gli altri ci sembrano essere, soggetto che crea il mondo nel momento stesso in cui lo pensa.

E' pena infinita aprire una breccia in questa corazza scintillante, ricordare le nostre vere ragioni sotto le costruzioni sofisticate di una regale e perfetta autonomia. Dalla breccia, i significati escono e si moltiplicano, sappiamo che non solo oggi, ma da sempre è stato così, il passato ci assale nella tridimensionalità della gioia, della speranza, delle rabbie, dei dolori.

Per questo ci stupiscono i risultati positivi dell'indagine di Altroconsumo, anche se non possiamo che concordare pienamente con essi. Nel prevalere della logica della scissione, il sintomo può certo essere isolato e forse anche eliminato, ma l'operazione è precaria, visto che non si conoscono le ragioni che lo hanno prodotto. Se il sintomo è un messaggio che quel mondo che non si vede, la nostra anima, ci manda, vuol forse dirci, prima di tutto, che il nostro sistema non funziona più, che ciò che cerchiamo di ignorare e non conoscere e ora dolorosamente presente e chiede di venire ascoltato ed integrato.

Questo, poi, è possibile solo all'interno di una relazione, visto che tutti i nostri sentimenti, la vita mentale stessa, sono nati in tale imprevisto e fragile spazio.

Il perduto mondo delle emozioni, quasi fattosi materia inerte, può ancora venire a parola nella zona delicata di un incontro e di un legame, può ancora essere conosciuto e riconosciuto come il proprio vero volto.

Ma è davvero un'operazione controcorrente rispetto alla logica dell'onnipotenza che così profondamente permea il nostro tempo e la nostra cultura. E probabilmente non solo la nostra; da sempre, forse, l'uomo tenta di sfuggire in mille modi, ritardare per lo meno il più possibile, l'angoscia dell'incontro con una coscienza che parla di un consistere insicuro, poco codificabile e poco dominabile, imperfetto, quasi rarefatto e sempre, purtroppo, limitato e caduco.

Curarsi, in fondo, significa soprattutto questo, dimettere gli orpelli artificiali della volontà di potenza per lasciare spazio alla personale fragilità, anche perché solo a partire da quella possiamo amare ed essere amati.