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La politica delle scatole cinesi

La notizia
Guerra a Osama. I detenuti di al Quaeda. Le critiche dell'Europa sul trattamento dei prigionieri talebani hanno spinto gli Usa a interrompere i voli di trasferimento a Cuba. Ma la costruzione delle celle sull'isola continua a pieno ritmo. Nell'attesa di trovare una soluzione politica e giuridica al problema.
Panorama di giovedì 31 gennaio 2002

Il commento
Guantanamo è una base militare USA, è un angolo di Cuba, che occupa un'area grande come San Francisco. E' in questo lembo di terra -da cui seppur cacciati gli americani non " se ne sono mai andati"- che oggi sono imprigionati 158 detenuti talebani.
Il Pentagono considera questi prigionieri dei criminali, rifiutando loro lo status di prigionieri di guerra e il relativo trattamento assicurato dalla convenzione di Ginevra.
Gli alleati europei criticano le condizioni in cui sono tenuti i detenuti. Il ministro degli Esteri dell'Unione Europea parla di tortura, un gruppo di avvocati americani capeggiati dall'ex ministro della Giustizia Ramsey Clark chiedono che ai detenuti venga riconosciuto almeno un capo di imputazione, se non la presenza di un legale.

La scelta della base militare di Guantanamo è stata determinata proprio per poter mantenere i prigionieri in una sorta di limbo giuridico, prima di una decisione definitiva circa il loro destino.

Al di là delle ragioni giuridiche colpisce il fatto che ci sia stata l'esigenza di interdetto del suolo americano ai terroristi talebani, membri dell'organizzazione di Al Quaeda, che si siano dovute isolare, con tanta determinazione, queste oscure forze del male. Forse viene spontaneo chiederci se confinare extra moenia questi prigionieri, non fargli nemmeno toccare la terra di Colombo, non possa costituire una misura necessaria al fine di mantenere intatta l'integrità del pensiero americano, così seriamente minacciata da tensioni e lacerazioni interne. Integrità di pensiero che la ricca e opulenta America è riuscita a conquistarsi a prezzo di continue scissioni interne ed esterne. La stessa Cuba a suo tempo è stata isolata, controllata e repressa. I prigionieri sono stati rinchiusi a Guantanamo; il nemico, in un gioco scatole cinesi, lo si è isolato in un'isola creata dalla natura, che accoglie al suo interno un'altra isola politica, che accoglie al suo interno un'altra isola militare circondata da filo spinato. In questo gioco di scatole cinesi i confini delle nostre e altrui ragioni si perdono, non c'è più bisogno di riconoscere in noi la stessa violenza del nemico, magari ben camuffata sotto la completa differenza di stile e di argomentazioni.

A Guantanamo vediamo questi esseri umani privati della loro identità, ridotti a fantasmi arancioni, che piegati dal dolore, dall'umiliazione e dagli psicofarmaci, vengono spiati in continuazione.
Una luce forte infatti li insegue notte e giorno. Portano bende intorno agli occhi e mascherine sulla bocca, capelli e barba sono stati tagliati per privarli della loro identità di popolo. Questa necessità di dover ridurre esseri umani ad oggetti è forse una difesa per allontanare da sé per sempre la paura?
Paura della povertà, dell'ignoranza dell'integralismo, della misoginia, paura di chi senza speranza attacca e uccide anche se stesso?

Forse queste paure vengono isolate a Guantanamo, vengono nascoste, represse, soffocate e così un numero spropositato di soldati americani sorveglia 158 detenuti assolutamente non più in grado di nuocere.

I terroristi devono essere sistemati in questa piccola e ultima scatolina cinese e lì devono stare per sempre, visto che non è possibile farli sparire.
Per favorire le scissioni, i mezzi di comunicazione ci forniscono notizie da un solo vertice di osservazione. Così i meccanismi normali di integrazione e di ricomposizione vengono inibiti: non bisogna lamentare la perdita degli altri, di quelli del fronte opposto, bisogna negare la sofferenza di questi esseri umani.

A tre mesi dall'inizio della guerra in Afganistan, il governo degli Stati Uniti annuncia la morte sul campo del primo soldato americano e il presidente Bush lo cita come caduto per amor di patria. Neanche una parola per i caduti del fronte opposto. E' propaganda, ma è propaganda tesa ad evitare la depressione determinata dalla distruzione, dal semplice motivo che esseri umani in conflitto sono costretti ad uccidersi, ad umiliarsi. I meccanismi di lutto, che tale situazione determina, vengono arrestati e contrastati da evidenti atteggiamenti maniacali: turisti americani a Cuba al modico prezzo di 35 dollari spiano dall'alto i detenuti…Mc Donalds conta di aprire una filiale con vista sulle celle dove vengono tenuti i terroristi.

Eppure assumersi la responsabilità della propria integrità di individuo e di popolo vuol dire non isolare, reprimere e confinare, vuol dire non lasciare che parti rimangano isolate o inascoltate, significa assumersi la responsabilità della propria condizione mentale, la responsabilità dei conflitti interni e della necessità di integrarli tra loro, invece di segregarli in territori separati e diversi.
Fa paura pensare che un Occidente ricco e culturalmente avanzato possa albergare realtà e sentimenti ancora così primitivi, come povertà, ignoranza, integralismo, misoginia. Eppure è solo accettando questo e non richiudendo tutto in isole sempre più piccole che possiamo crescere come individui e come popolo.

Forse dovremmo smettere di costruire a pieno ritmo celle per confinarvi dentro ciò che non vogliamo vedere; non è spiando che possiamo capire, è solo avvicinandoci con cautela e osservando.

Perché poi, in fondo in fondo al mare le isole non esistono!


"Beneath the wind turned wave
Infinite peace
Islands join hands
'Neath heaven's sea"


[King Crimson: Island]

Ma separarsi è un piacere?

La notizia
Divorzio, il Papa a giudici e avvocati ''Non collaborate'' In un discorso tenuto davanti al tribunale della Rota romana il Papa afferma categoricamente alcuni principi fra i quali l'indissolubilità del matrimonio come parte fondamentale del patto matrimoniale. E suggerisce, sarebbe meglio dire: impone, una linea di comportamento a giudici e avvocati.
Il Secolo XIX, 29 gennaio 2002

Il commento
"Non è facile commentare l'opinione del Papa". Comincia così un articolo sul SECOLO XIX di Genova a commento della notizia che oggi, 29 gennaio, campeggia sulle prime pagine di quasi tutti i giornali. E, in realtà credo che sia veramente molto difficile. Le parole del Papa sono, evidentemente, un valore assoluto all'interno della chiesa cattolica, il valore teologico, religioso, morale di queste dichiarazioni non può essere messo in discussione.

Un punto che, forse, risulta più "commentabile" è quando si legge che il Papa vorrebbe che alcuni soggetti della società civile (avvocati e giudici) si astenessero dall'operare per consentire alle persone di divorziare. Qui potrebbe essere più agevole affermare, a seconda delle proprie idee, se si è d'accordo o meno con il Papa, oppure - addirittura - se è lecito che il Papa si occupi così a fondo di questioni regolate da una legge dello stato. Ma anche questo è un punto che voglio lasciare alle considerazioni di ognuno.

Il Papa dice che il divorzio è: "… una piaga dalle conseguenze devastanti"; che "non ci si deve arrendere alla mentalità divorzistica, l'indissolubilità del matrimonio fa parte dell'essenza stessa del patto matrimoniale …"; i giudici "devono trovare mezzi efficaci per favorire le unioni matrimoniali mediante un opera di conciliazione saggiamente condotta".

Affermazioni, per altro, anche condivisibili se non fosse per il fatto che sembrano essere un "dato" di partenza irrinunciabile e non un obiettivo da raggiungere liberamente.

L'indissolubilità del matrimonio, questa espressione mi colpisce!

Mi colpisce perché si riferisce a un mondo perfetto, luccicante, sempre felice, in cui si è sempre e per sempre assieme.

E il mondo in cui viviamo non è così.

Il matrimonio, ad esempio, non è una realtà assoluta: ci sono civiltà che ne fanno a meno, e poi, non è mai come dovrebbe essere.

Ma poi come dovrebbe essere? Soprattutto indissolubile! - dice il Papa.

E basta? Questa espressione mi colpisce perché mi sento anche un po' defraudato: ma come, io pensavo di avere scelto liberamente di vivere con una persona (il più a lungo possibile, si capisce) e vengo a sapere che sarà così soltanto perché ho scelto la formula giusta: il matrimonio della Chiesa Cattolica. E quindi il merito o la responsabilità di questa lunga unione sta solo nel fatto che niente e nessuno ci potrà "slegare".

Questa espressione mi colpisce perché in tutta questa storia - che poi è la mia vita - ci posso fare ben poco, a proposito di una delle cose che potrebbero essere importanti per me … io, ripeto, non ci posso fare niente, nel bene e nel male, l'ho sposata/o e quindi basta, se va bene è merito del matrimonio, se va male … il matrimonio indissolubile farà migliorare le cose.

Mi colpisce perché mi sento privato della possibilità di voler bene e di arrabbiarmi con la persona con cui vivo: sono obbligato a calpestare i miei sentimenti e a viverci per sempre.

Forse ci vorrebbero degli esami prima del matrimonio, forse i corsi prematrimoniali tenuti dai parroci dovrebbero essere più selettivi prima di arrivare ad un legame indissolubile. Perché poi arriva il momento in cui si fanno i conti con la realtà!

E cioè, "semplicemente" arriva il momento (generalmente dopo la cerimonia) in cui si comincia a pensare al perché e al percome dell'unione appena effettuata.

E, nell'esperienza di ognuno di noi, è un gran momento quello in cui si comincia - parafrasando Bion - a provare a pensare a quello che si sente.

È un gran momento, ma sicuramente è un momento di grande crisi, e dai momenti di grande crisi si può uscire con le ossa a pezzi, oppure con lo ossa leggermente rinforzate: dopo qualche mese di ingessatura si forma il callo osseo e si può provare a proseguire.

Superando per un poco queste considerazioni dettate forse soprattutto dallo stupore, cerchiamo di fare qualche riflessione sul matrimonio e su quelle che, qui sulla terra, sono le ragioni che spingono due persone al matrimonio o alla convivenza: l'amore, il desiderio di un figlio, il desiderio e la speranza di costruire una realtà diversa da quella che abbiamo conosciuto, la volontà di andarsene di casa, l'interesse, un atto riparatorio …molto spesso sono ragioni del tutto chiare ai futuri sposi, a volte no, che fare?

Non voglio affermare che il divorzio sia la migliore soluzione possibile, di fatto è, probabilmente, il segno che si è commesso un piccolo errore, o magari soltanto che si è un po' cambiati, ma perché non lasciare agli uomini e alle donne la possibilità di cambiare?

E poi c'è un'altra questione di cui il Papa non si è occupato davanti al tribunale della Rota romana (che, credo, sia il tribunale dove si annullano i matrimoni): i figli.

Ecco, i figli. Sembra che i figli siano una specie di corollario al Sacro vincolo del matrimonio. Ragazzi costretti a vivere per anni fra due persone che non si sopportano più, ma che saranno i loro genitori per tutta la vita - questo sì che forse è un legame naturale indissolubile ma contrastato - e dai quali, prima o poi, ci si dovrà separare.

Forse non si tratta di una separazione paragonabile a quella del matrimonio (o forse sì), ma è sicuramente un momento importante nella vita di ognuno di noi, il momento in cui - dolorosamente - si cambia, si prova a crescere, e si prova a trasformare un rapporto quasi esclusivamente simbiotico in un rapporto un po' più maturo.

Probabilmente anche la separazione di una coppia ha lo stesso valore di crescita e di maturazione se non esiste più lo spazio per litigare e per volersi bene, e credo che si possano nutrire forti dubbi sul fatto che sia meglio una coppia stabile e inamovibile, a due individui che - ripeto - dolorosamente cercano di proseguire nella vita in maniera più autonoma e più rispondente alla propria realtà affettiva.

Lolita, il Cavaliere e l'Ordine dei Buoni Padri

La notizia
Il Cavaliere: Via le prostitute dalle strade!
La Stampa, domenica 6 maggio 2002

Il commento
Nel tentare di commentare questa notizia, dovendo in un qualche modo prescindere da una valutazione politica,di ininfluente interesse in questa sede, non riesco a fare a meno di ritornare insistentemente col pensiero a due ' libere associazioni 'che ho fatto, leggendo la notizia.Come tante libere associazioni, mi sono suonate apparentemente dissintone, inappropriate, incoerenti.

Una riguarda l'aneddoto di Salomone che, richiesto da due donne che gli mostravano un neonato, di stabilire quale tra loro fosse la madre vera, quale la menzognera, propose loro di tagliare a mezzo il bimbo e di prenderselo, metà all'una , metà all'altra. Subito, la sedicente madre, pur di possedere il bambino, rivendica per sé la metà, il corpo straziato.Mentre la vera madre, purché il piccolo viva, accetta di lasciarlo all'altra, purché integro.Questa diviene la prova per Salomone il saggio, di chi sia la madre autentica, quella che preferisce la vita al possesso mortifero. Quella che pone al centro del suo interesse emotivo una concretezza indiscutibile:la vita del figlio.

L'altra libera associazione riguarda, invece, una nota di Vladimir Nabokov a proposito del libro "Lolita". La prima ispirazione, scrive l'Autore, nacque in qualche modo quando lessi su un giornale come una scimmia al Jardin des Plantes, dopo mesi di blandizie da parte di uno scienziato, avesse prodotto il primo disegno a carboncino mai eseguito da un animale: questo schizzo raffigurava le sbarre della gabbia occupata dalla sfortunata bestia. L'impulso che cito non aveva alcun nesso specifico con la successiva evoluzione dei miei pensieri, evoluzione che ebbe come frutto, tuttavia, un prototipo del romanzo…
(V. Nabokov, Lolita, Mondatori Milano 1966, pag 9 ).

Prostituzione sulla strada, prostituzione nelle case chiuse: violenza esplicita nel primo caso, violenza occultata, celata e forclusa nel secondo.

Violenza comunque. La stessa di quelli che vogliono lapidare Safyia per adulterio, o rinchiudere i malati mentali nelle equivalenti case chiuse, i manicomi.

Una violenza che sembrerebbe connessa al dare per scontato che non possa essere operata dallo Stato alcuna trasformazione culturale intorno alla relazionalità affettiva tra i sessi. Eppure, negli anni, abbiamo avuto l'educazione all'alfabetismo con la scuola dell'obbligo, l'educazione sessuale nelle scuole elementari, quella, sempre svolta a livello scolastico, all'educazione alla salute . Persino i malati mentali, categoria verso la quale il pregiudizio e la sfiducia sociale è stata, per secoli, gravosissima, hanno, faticosamente,visto almeno il tentativo di una modulazione dell'atteggiamento mentale del gruppo, dei media e, alla fine, dello Stato.

Persino verso la follia, così disturbante e pericolosa, si è fatto un tentativo.

A livello legislativo, con svarioni e insuccessi, si è tentato molto per i tossicodipendenti, problema che, per aspetti simile a quello della prostituzione, ha però suscitato ben altro atteggiamento. Mi pare che, al di là del successo delle misure intraprese, almeno non vi sia dubbio se mettere i tossici o gli spacciatori nelle prigioni-case chiuse!

La prostituzione,evidentemente, suscita angosce ancora più disturbanti e più pericolose, forse talmente estreme da dover ricorrere ad un meccanismo maniacale di erotizzazione dell'orrore. Pensiamo, ad esempio, alla ottocentesca definizione lessicale di 'donnine allegre ', a quella moderna di "lucciole", poveri insetti dalla vita brevissima…

E' quantomeno curioso che sia la destra che anche la sinistra, quasi l'intera classe dirigente del Paese dimostri tanta sfiducia nella possibilità d'intervento legislativo e culturale dello Stato.

Solo il mondo cristiano pare dimostrare un interesse su un piano affettivo, portando avanti un discorso di rispetto dei rapporti umani, della salvaguardia di queste donne vittime nella maggior parte dei casi di uno sfruttamento a più livelli che vengono lasciate sole, nell'indifferenza e nell'ostracismo da parte di tanti.

Berlusconi, afferma il giornale, si vergogna quando davanti ai figli assiste a questo spettacolo degradato rappresentato dalla prostituzione per le strade. La presenza dei figli gli permette di proiettare sui giovani quella parte tenera e affettuosa che si rivolta, soffrendo, davanti alla violenza, anche se mascherata dalla vernice eccitante dell'erotizzazione. Davanti ai figli prova un attimo di insight, in cui sente la responsabilità di padre sul piano personale e di padre-presidente.

Insight sul dolore, sulla degradazione di spacciare per deduttivo ed eccitante ciò che è solo violenza, prepotenza, il contrario della relazione di intimità pur basandosi sulla caricatura della seduzione. Insight sulla distruttività che indifferenza e diniego, cinismo e perversione manipolatoria comportano contro la possibilità di elaborare le difficoltà e la sofferenza.

Sofferenza legata, forse, alla consapevolezza del limite, dell'impotenza che sono connessi alla condizione umana che ripropone ad ognuno ,di qualunque sesso, il non potersi più fondere nell' "unione oceanica" una volta separati dalla madre.

Limite che il rapporto uomo donna ripropone, situandosi l'incontro, anche il più bello, come un ponte tra due rive, non come un annullamento della distanza. Basti pensare a quanta patologia sessuale sia legata al problema dell'unione-separazione. Paura ad entrare in rapporto, ma anche paura dell'orgasmo come momento che, con l'appagamento, sottolinea il ritornare ad essere separati.

Forse il rapporto cliente-prostituta vede la possibilità a monte di negare la separazione, dando,con la mercificazione, la possibilità di controllarla e dominarla, quando la prostituta è immaginata deprivata di una qualità di persona viva, altra da sé e pensata come un oggetto in magica rispondenza illusoria ai bisogni e alle fantasie dei clienti.

Davanti ai figli - parti affettive capaci di sentire il dolore mentale - viene sperimentata la vergogna, ma subito questo insight si dimostra troppo doloroso. La pena, se si guarda sotto al famoso perizoma ed eccitamenti varii, diventa devastante. Si vedrebbe una ragazza, lontana da casa, certamente infreddolita, stordita, annoiata e disperata. Queste emozioni non indurrebbero in nessuno una reazione erotica, così come non la induce vedere un gattino schiacciato. La vergogna riguarda, in prima battuta, anche la pena e la responsabilità a far qualcosa, a prendersi cura. Ma questo sentimento disturbante e destrutturante, anche se potenzialmente utile a produrre cambiamento, è troppo pesante. Comporterebbe uno stato di dubbio, un interrogarsi sulle proprie capacità politiche, personali di uomo, personali di cittadino, come in ognuno di noi, comporterebbe sentire il dolore dell'impotenza e il disagio intorno a grandi problemi: che facciamo nella relazione con l'altro? In quella con l'altra parte di noi, con il piacere e il dolore, con la responsabilità rispetto alla persecuzione e alla colpa. Tutto questo è troppo disturbante e viene allontanato tramite una difesa di stampo decisionista: rendiamo non avvenuto il fatto, rimovendolo dalla coscienza e isolandolo da ogni contesto affettivo. Non è un caso che un altro deputato parli di recludere le prostitute in un luogo isolato dove " siano possibili controlli sotto l'aspetto dell'ordine, della sanità e del fisco". Un paziente con una caratteropatia ossessiva a copertura di una violenza psicotica, non avrebbe potuto fare un sogno più significativo.

L'importante sembra essere che questi "figli" - del Cavaliere, ma anche i nostri - non vedano questo scandalo: magari vedendoselo a casa, sulle reti televisive del suddetto Berlusconi, quando si sorbettano le pubblicità, i film, l'atmosfera pornografica e manipolatoria dei vari programmi. Nella scontatezza più totale, nell'indifferenza degli adulti.

In materia sessuale, la politica del non parlare del non mostrare non è certo una novità. La politica di "vizi privati e pubbliche virtù" mi pare sia secolare. Ma, nella cultura moderna, si sta anche facendo strada la consapevolezza della pericolosità di questo occultare e allontanare i problemi, che si ripropongono poi con un conflitto tra i sessi che sta producendo patologie varie e atteggiamenti di costume che hanno aspetti preoccupanti che tornano indietro, per esempio sotto forma di disagio diffuso nei maschi a trovare un qualche altro modo di interagire, magari sul lavoro, con le donne, della cui non passività hanno più che paura, mi sembra, totale inesperienza.

Questi figli che devono essere protetti così, con l'isolamento delle prostitute nelle case chiuse, ma che devono essere esposti fin da piccoli all'esibizione visiva del nudo femminile violento in quanto non solo irrispettoso ma improprio, all'esibizione di ruoli sessuali non solo violenti per la donna, sempre oggetto del maschio, ma anche costrittivi per il maschio, che si deve conformare ad un ideale di ipervirilità, che deve stare nello stretto binario dell'ottica della performance, quella che lo vuole produttore di "durezza" in tutti i sensi.

Viene imprigionato l'immaginario femminile ridotto ad oggetto di desiderio di qualcuno, ma viene imprigionato anche quello maschile.

Non solo la psicoanalisi, anche le filosofie antiche, alcune religioni affermano il desiderio di bisessualità nell'uomo. Una bisessualità da intendersi, a mio parere come bisogno di completezza, di poter giocare fantasticamente tutti i ruoli possibili per aumentare la propria capacità affettiva, non la propria confusione. Poter immaginare tutti i ruoli possibili amplia la comprensione di tutto ciò che è umano e crea possibilità di varietà e di gioco a qualsiasi rapporto ,non solo a quelli sessuali.

Ma è soprattutto il poter immaginare che dà apertura alle possibilità. Fa anche molta paura, perché ci toglie la certezza rigida del nostro sentire per abitudine, per controllo, per possesso.

La prostituzione mi pare rappresentare il massimo della non immaginazione, della controllabilità illusoria, lì resa agita, del sopruso di uno sull'altro mascherato da seduzione. Quando la seduzione copre qualcosa di mortifero, la mancanza di legame umano, di rispetto della vitalità , non può non rivelare l'aspetto dissintono, degradato che la distruttività sempre comporta diventando volgarità.

Capisco, pian piano, l'associazione fatta con l'episodio narrato da Nabokov. Anche i nostri figli, come al Jardin des plantes, più che nelle strade, davanti alla TV che mi ha richiamato le blandizie dello scienziato, fanno come la scimmiotta.

Imparano a disegnare la loro prigione mentale, assorbendo i modelli di relazione tra i sessi, ma anche quello delle relazioni tra le persone, i modelli del legame con l'alterità, che fungeranno da binario guida del futuro adulto. Una prigione mentale che si basa sul dare per oggettivo il fatto che tra uomo e donna esista solo ed eternamente un rapporto di potere, attivo - passivo, forte - debole,violentatore - violentata, cliente - prostituta.

Che sia espressa nei termini berlusconiani, questa violenza, o nei termini del bonario S. Anselmo d'Aosta che definiva la donna "un immondo ricettacolo", questa violenza non pare aver cambiato il connotato di fondo. Georges Bataille intravede nella prostituzione una trasgressione che l'avvicina al sacro, ma arriva anche a dire che "la prostituzione è la conseguenza dell'atteggiamento femminile..Le attenzioni che una donna dedica al proprio abbigliamento, alla cura della propria persona dimostra che essa si considera un oggetto incessantemente proposto ai desideri degli uomini.." ( G. Bataille "L erotismo" Edizioni SE, Milano 1986, pag 126) .

Sembra che manchi - forse è questa mancanza la radice della violenza - la speranza di poter inserire qualcosa di vivo - un " bambino" vivo, non fatto a pezzi per esser posseduto metà per uno - nelle relazioni uomo donna così concepite. Nei secoli, la violenza e l'accanimento che il maschio ha portato avanti contro la donna, mascherato romanticamente sotto forma di protezione affettata o volgarmente sotto forma di disprezzo e assenza di spazio di dignità, sembrano rivelare una paura enorme della diversità, della frustrazione, dell'impotenza.

Tirar su i figli non significa certo proteggerli dallo spettacolo del degrado di noi adulti. Forse ha più a che fare col permetter loro, maschi o femmine che siano, di tollerare i dubbi, i fallimenti, la frustrazione e la nostalgia. Cercare di non sedurli e blandirli fino a fargli perdere le loro caratteristiche proprie, la loro "scimmietà", fino a far loro disegnare sbarre di prigione.

Vorrei chiudere con una poesia d'amore, con tutta la sensualità del desiderio e della bramosia amorosa dell'innamoramento, ma molto diversa, mi pare, dall'ottica delle case chiuse o dei perizomi. Una poesia d'altri tempi, di Saffo:

Gioia di amore
Beato è, come un dio,
chi davanti ti siede e ti ode,
e tu dici dolci parole e
dolcemente sorridi.
Subito mi sobbalza, appena
ti guardo,dentro nel petto il cuore,
e voce più non mi viene,
e mi si spezza
la lingua, e una fiamma sottile
mi corre sotto la pelle,
con gli occhi più niente vedo,
romba mi fanno
gli orecchi, sudore mi bagna,
e tremore tutta mi prende,
e più verde dell'erba divento,
e quasi mi sento,
o Agallide, vicina a morire.


(Da Manara Valgimigli Saffo e altri lirici greci ed. Il Pellicano, Vicenza, 1942 )

Forse, se passasse tra noi adulti e i nostri figli, questa dimestichezza con le emozioni, con gli affetti, con la capacità di tollerare la dipendenza e il bisogno, la frustrazione e la necessità… con la capacità di eros che è gioco, differenza e anche regola, ma mai degradazione e controllo mortifero sulle emozioni… beh, forse le case chiuse ci sembrerebbero un'altra cosa.

Giochi di potere: una cimice nel letto

La notizia
L'aereo più spiato del mondo. Il Boeing 767 costruito negli Stati Uniti per il presidente cinese era pieno di microspie. C'era una cimice nel letto del presidente cinese, e un'altra nel suo gabinetto, anzi tre, no, quattro, cinque, aspettate, sei , dieci, ventisette, sì, almeno ventisette cimici che brulicavano dentro l'aereo presidenziale di Jliang Zemin.
La Repubblica, 20 gennaio 2002

Il commento
Mi viene da pensare come sarebbe interessante regalare, nella nostra fantasia, a tutti i potenti del mondo, la sottrazione di alcuni lustri, ed immaginarli, nel giardino incantato dell'infanzia, mentre sono intenti a governarci, giocando a nascondino, guardie e ladri, mosca cieca…

Giocano, poiché sono bambini ed è certamente la cosa che sanno fare meglio: poi, a seconda delle risultanze del loro gioco, delle loro alleanze, di chi ha vinto o perso, si determinerà, anche, la geografia politica delle nostre esistenze.

Leggendo la notizia delle microspie nell'aereo, ho, immediatamente, pensato che questo fatto avrebbe comportato un incidente diplomatico di notevoli proporzioni e che forse non averi rivisto Bush, in pigiama cinese, al prossimo summit di febbraio. Invece no - Zucconi rassicura - tutti amici come prima, perché sono cose che capitano abitualmente, e la Cina ha troppo bisogno dei dollari americani mentre l'America necessita della Cina per la coalizione globale!!

Allora tutto a posto, poiché tutti spiano tutti, è quasi un gioco da ragazzi dove vince chi si fa scoprire meno; ma, se per caso, viene scoperto, si fa '' pari e patta'' e magari ''sta sotto'' qualcun altro, nel perenne diplomatico gioco a nascondino.

In effetti, se, per un momento, fantasticassimo di essere bambini, in un mondo governato da bambini che giocano nel portare avanti il faticoso compito direttivo, ci proietteremmo in un eden immaginario, dove tutto può avvenire, frammentarsi e poi ricomporsi, senza essere catastrofico come nel mondo dei grandi; noi bambini, inoltre, guarderemmo agli accadimenti drammatici, che ci annichiliscono, con spirito più libero da pregiudizi.

Non saremmo rigidamente fissati a posizioni determinate di'' buoni o cattivi'', perché, nel gioco, le parti si invertono con molta semplicità e velocità e questo scambio di ruoli permette a l'uno di mettersi nei panni dell'altro, e, quindi, di comprenderlo e di diventare più tollerante.

C'è una notevole differenza fra capire e comprendere: capire si riferisce all'aspetto cognitivo dell'esperienza, mentre comprendere si riferisce all'aspetto emotivo che chiede di essere esperito attraverso l' affettività, senza ulteriori spiegazioni razionali.

In effetti, questa fantasia di essere in un giardino d'infanzia, me l'ha regalata Bush, col suo improbabile pigiamino cinese e la sua espressione perplessa, in bilico fra l'imbarazzo e il faceto.

Certo, riuscissimo a vedere così i nostri governanti, ci risparmieremmo molti turbamenti e delusioni, in quanto, le aspettative sarebbero ridotte, ed, inoltre, avremmo lo sguardo benevolo che si concede sempre ai piccoli.

Peccato che rischieremmo di naufragare, con un delirio di onnipotenza, in un mondo-altro, molto lontano dalla realtà.

Ma poiché è dato fantasticare, vorrei continuare a immaginare questi bambini - governanti nel loro giardino incantato della gestione del potere e avvicinarmi a questo irrefrenabile impulso a spiare, origliare, guardare dal buco della serratura che trasforma ogni adulto in un bambino regredito, che soffre nel sentirsi escluso.

Perché il senso di esclusione e il dolore che questo comporta, anche se spesso negato, è presente in ogni pulsione e sentire o vedere ciò che non ci compete.

La stanza genitoriale, la porta chiusa che esclude e fa sentire solo il bambino è il punto primo, il motore iniziale della curiosità. La curiosità può poi trasformarsi positivamente in desiderio di sapere oppure fissarsi allo stato arcaico e patologico di scopofilia.

Dice Melanie Klein: '' se osserviamo il nostro mondo adulto, dopo averne esaminate le radici nell'infanzia, otterremo una visione più completa del modo in cui la nostra mente, le nostre abitudini e le nostre opinioni si sono andate formando a partire dalle primissime fantasie e emozioni infantili fino ad arrivare alle manifestazioni adulte più complesse ed elaborate.''

Forse, allora, è per l'antica consuetudine infantile di essere sempre sotto il controllo genitoriale, che, con tanta tranquillità, attraverso un massiccio meccanismo di negazione, facciamo, ora, finta di non accorgerci di avere perso ogni possibilità di privacy; anche se la convenzione europea dei diritti dell'uomo stabilisce che ogni intrusione nella vita privata deve essere oggetto di una legge precisa, motivata e necessaria rispetto ad un obiettivo preciso.

Il sociologo David Lyon si domanda se la tanto celebrata società dell'informazione non stia piuttosto evolvendo verso una nuova società della sorveglianza, poichè l'introduzione delle tecnologie della comunicazione informatica comporta un salto di qualità rispetto ai tradizionali meccanismi del controllo sociale. Le memorie informatiche vengono trasferite e scambiate attraverso reti di comunicazione al di la' dei vincoli costituiti dallo spazio - tempo. Le tecnologie della sorveglianza diventano meno intrusive, si fanno raffinate e seduttive, ma il loro compito è, comunque, quello di mantenere l'ordine sociale nelle tradizionali sfere del controllo.

Non abbiamo più segreti: al bancomat, su Internet, persino se camminiamo per strada, ogni nostra mossa può essere spiata. Il nostro diritto alla privacy è calpestato, bit dopo bit. Registriamo i nostri movimenti, ogni volta che preleviamo contante dai bancomat o paghiamo le autostrade con tessere magnetiche. In città come New York, si viene fotografati dalle telecamere, una media di 20 volte al giorno. D'altronde, non si capirebbe come, altrimenti, sia stato possibile avere le immagini della distruzione delle torri gemelle da più punti di osservazione.

La nostra cultura sta attraversando una crisi d'identità di massa, cercando di conservare un qualche senso di privacy, all'interno di un villaggio globale composto da decine di milioni di persone. Secondo Kelly, ''nel villaggio tradizionale, la privacy non esisteva affatto: tutti conoscevano i segreti di tutti. E ciò funzionava. Io so tutto di te, tu sai tutto di me. Esisteva una simmetria di conoscenze. Quel che non quadra oggi e' che non sappiamo più chi conosca le nostre abitudini. La privacy e' divenuta asimmetrica.''

''La libertà stessa é sotto attacco,'' dice Bush, e ha ragione. Gli americani sono sul punto di perdere molte delle loro libertà. Il governo propone di controllare i nostri telefoni, di leggere le nostre e-mail, e di impadronirsi dei registri delle nostre carte di credito senza ordine del tribunale.. Per salvare la libertà, si rischia di distruggerla. La ''nuova guerra'' americana contro il terrorismo sarà combattuta con una segretezza senza precedenti, non ci é permesso comprendere le ragioni che stanno sotto ai crimini raccapriccianti del 11 di settembre, si punta verso un futuro Orwelliano di guerra infinita.

Il 1984 é arrivato. Nel suo discorso al Congresso, George Bush, ha efficacemente dichiarato guerra permanente, guerra senza limiti temporali e geografici; guerra senza scopi chiari; guerra contro un nemico vagamente definito e costantemente mobile. Nel libro ''1984 ''di George Orwell, lo stato totalitario di Oceania é perennemente in guerra con l'Eurasia e l'Estasia. Nonostante il nemico cambi periodicamente, la guerra é permanente; il suo vero scopo é controllare i dissensi e sostenere la dittatura nutrendo la paura e l'odio del popolo. Il discorso allarmante di Bush puntato verso un nemico indistinto che si nasconde in più di 60 paesi, inclusi gli USA annuncia una politica che usa il massimo della forza contro qualsiasi individuo o nazione da lui designata come nemica.

Ha esplicitamente avvertito che la maggior parte della guerra sarà condotta in segreto. Bush entra nel ruolo del Grande Fratello, che ha bisogno di essere amato e contemporaneamente temuto.

Le trasmissioni come 'Il grande fratello' o i talk show che hanno tanto successo, evidenziano la tendenza umana al voyeurismo come metafora del nostro modo di conoscere che ci porta ad assistere piuttosto che a sperimentare direttamente le cose.

Voglio dire che, se ci regalassimo la possibilità di ascoltarci maggiormente, di sentirci responsabili ciascuno delle proprie azioni, senza giocare a scarica barile, forse riusciremmo, noi nel nostro micro-universo personale e i politici nel loro macro-universo diplomatico internazionale, a non sentire quell'irrefrenabile impulso a spiare che ci fa tornare bambini spaventati e insoddisfatti.

Il vecchio saggio

La notizia
L'albero genealogico cresce su Internet. Francesca Paci sottolinea il grande interesse registrato in ambito Internet per il recupero dell'albero genealogico della propria famiglia. La ricerca on line degli antenati pare essere ultimamente in aumento ed è supportata da home pages attraverso cui si può accedere a veri e propri database, cataloghi di cognomi, manuali di genealogia e bacheca-sito dei ritratti di famiglia.
La Stampa, venerdì 4 gennaio 2002

Il commento
L'articolo occhieggia, con un certo ammiccamento, dopo pagine che brindano al successo dell'euro, ma alludono contemporaneamente alle difficoltà dell'accettazione della nuova moneta, dopo resoconti di politica interna e dopo stanche considerazioni su un ancora più stanco popolo afghano.

Se mi abbandono al flusso della lettura e sfoglio le pagine del quotidiano come se mi si presentasse una catena associativa, la successione dettata dall'esigenza giornalistica mi pare assumere un senso proprio.

Il popolo dell'euro - che ha assistito impotente ai tragici eventi degli ultimi quattro mesi - sta per essere unificato dalla moneta che economisti e politici si sono preoccupati di legittimare anche attraverso considerazioni di pertinenza psicologica: l'uso di una stessa moneta finirà per avvicinare e accomunare genti diverse che forse scopriranno di poter avere diritto a più riferimenti comuni.

Questi uomini, a cui si prospetta un grandioso processo di unificazione, un sentire da fratelli, sembrano rilanciare piuttosto la necessità di trovare radici e un'identità propria.

Quali sono le radici? Dove sono? Rassicuranti le risposte a portata di mouse: gli antenati ci sono, si tratta solo di ricomporre il puzzle, di ritrovarli.

La società dell'informazione e dell'immagine sembra coniugare l'evidenza del libero scambio con l'esigenza di riconsiderare relazioni non intercambiabili.

In un momento storico in cui sempre più si parla di globalizzazione e massificazione, non riesce difficile concordare con il fatto che all'individuo vengono sempre più sottratte le decisioni morali e la possibilità di scegliere la condotta della sua vita, per cui si viene amministrati, nutriti, vestiti, educati, alloggiati e divertiti (per usare un'espressione di Jung in Presente e futuro, 1957) con un metro ideale fornito dalla soddisfazione della massa.

Preso dal sentimento della sua poca rilevanza, il singolo si allontana dal senso della sua vita, che non si esaurisce nel concetto del pubblico benessere. L'uomo come essere sociale ha bisogno del legame, ma può resistere nella sua individualità se è organizzato quale essere psichico; egli, grazie alla sua attività cosciente riflessiva e alla sua natura ereditaria e archetipica, ha in sé una corrispondenza con il grande mondo.

Sappiamo che l'esercizio dell'attività cosciente riflessiva comporta un notevole investimento contro cui lavorano, più o meno volutamente, l'omologazione e l'immobilismo ideativo di cui si è ammalata la nostra società. Come sempre, quando si verifica una rimozione, l'altra strada che si impone è quella del ritorno dei bisogni accantonati in forme che esercitano un fascino particolare.

L'uomo è in possesso di eredità dei suoi antenati; quando nasce è inconsapevole, ma porta con sé sistemi organizzati, pronti a funzionare, che sono il risultato di milioni di anni di evoluzione umana. L'uomo racchiude in sé la trama fondamentale del suo essere, non solo della sua natura individuale, ma anche di quella collettiva. Lacan (La topologie et le temps) indica con l'immagine della treccia borromea la traccia di un "anteriore" già presente nell'individuo, che prima ancora di nascere è fortemente determinato dal lignaggio, dalla casata, dalla stirpe (attraverso la metafora del nome del padre). Le storie cliniche dei nostri pazienti si portano appresso sovente tracce-trecce familiari da cui l'intervento terapeutico non può prescindere.

Al bisogno di radici da parte di un Io più vulnerabile, sollecitato dall'instabilità del presente momento storico, dall'opportunità di adattarsi in tempi brevi a nuovi scenari, risponde la componente inconscia che guida l'individuo alla ricerca di un riferimento comune allargato, appartenente al passato, che assume - nello specifico sottolineato dall'articolo - la forma dell'antenato. L'esigenza di appartenenza, al di là dei legami spesso sfilacciati e problematici dell'odierno tessuto familiare, e della generica rappresentazione di una fratellanza universale in quanto umana, viene rappresentata e agita dalla riscoperta dell'albero genealogico.

Mi sovviene, a tale proposito, la figura archetipica del vecchio saggio (Jung, Gli archetipi e l'inconscio collettivo, 1946), che simboleggia il fattore "spirito". Nelle fiabe il vecchio saggio appare quando l'eroe è in forte difficoltà e può essere aiutato solo da una profonda riflessione o da una felice intuizione. Il vecchio che porta aiuto e consiglio, che interroga sul chi, sul perché con un invito alla riflessione, rappresenta dunque sapere, saggezza, prudenza, intuizione, ma anche qualità morali come benevolenza e sollecitudine.

Forse l'uomo di oggi (in particolare l'uomo appartenente ad una fascia d'età medio-giovane, quale potrebbe essere l'utente tipo del mezzo informatico), oltre ad incontrare nelle chat-line sconosciuti interlocutori, cerca anche la storicizzazione dell'antenato-vecchio saggio, che come presenza silenziosa ma non poco influente, gli dia il senso certo dell'appartenenza a qualche realtà già data.

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