Ma separarsi è un piacere?
Divorzio, il Papa a giudici e avvocati ''Non collaborate'' In un discorso tenuto davanti al tribunale della Rota romana il Papa afferma categoricamente alcuni principi fra i quali l'indissolubilità del matrimonio come parte fondamentale del patto matrimoniale. E suggerisce, sarebbe meglio dire: impone, una linea di comportamento a giudici e avvocati.
Il Secolo XIX, 29 gennaio 2002
Il commento
"Non è facile commentare l'opinione del Papa". Comincia così un articolo sul SECOLO XIX di Genova a commento della notizia che oggi, 29 gennaio, campeggia sulle prime pagine di quasi tutti i giornali. E, in realtà credo che sia veramente molto difficile. Le parole del Papa sono, evidentemente, un valore assoluto all'interno della chiesa cattolica, il valore teologico, religioso, morale di queste dichiarazioni non può essere messo in discussione.
Un punto che, forse, risulta più "commentabile" è quando si legge che il Papa vorrebbe che alcuni soggetti della società civile (avvocati e giudici) si astenessero dall'operare per consentire alle persone di divorziare. Qui potrebbe essere più agevole affermare, a seconda delle proprie idee, se si è d'accordo o meno con il Papa, oppure - addirittura - se è lecito che il Papa si occupi così a fondo di questioni regolate da una legge dello stato. Ma anche questo è un punto che voglio lasciare alle considerazioni di ognuno.
Il Papa dice che il divorzio è: "… una piaga dalle conseguenze devastanti"; che "non ci si deve arrendere alla mentalità divorzistica, l'indissolubilità del matrimonio fa parte dell'essenza stessa del patto matrimoniale …"; i giudici "devono trovare mezzi efficaci per favorire le unioni matrimoniali mediante un opera di conciliazione saggiamente condotta".
Affermazioni, per altro, anche condivisibili se non fosse per il fatto che sembrano essere un "dato" di partenza irrinunciabile e non un obiettivo da raggiungere liberamente.
L'indissolubilità del matrimonio, questa espressione mi colpisce!
Mi colpisce perché si riferisce a un mondo perfetto,
luccicante, sempre felice, in cui si è sempre e per
sempre assieme.
E il mondo in cui viviamo non è così.
Il matrimonio, ad esempio, non è una realtà assoluta:
ci sono civiltà che ne fanno a meno, e poi, non è
mai come dovrebbe essere.
Ma poi come dovrebbe essere? Soprattutto indissolubile!
- dice il Papa.
E basta? Questa espressione mi colpisce perché mi
sento anche un po' defraudato: ma come, io pensavo
di avere scelto liberamente di vivere con una persona
(il più a lungo possibile, si capisce) e vengo a sapere
che sarà così soltanto perché ho scelto la formula
giusta: il matrimonio della Chiesa Cattolica. E quindi
il merito o la responsabilità di questa lunga unione
sta solo nel fatto che niente e nessuno ci potrà "slegare".
Questa espressione mi colpisce perché in tutta questa
storia - che poi è la mia vita - ci posso fare ben
poco, a proposito di una delle cose che potrebbero
essere importanti per me … io, ripeto, non ci posso
fare niente, nel bene e nel male, l'ho sposata/o e
quindi basta, se va bene è merito del matrimonio,
se va male … il matrimonio indissolubile farà migliorare
le cose.
Mi colpisce perché mi sento privato della possibilità
di voler bene e di arrabbiarmi con la persona con
cui vivo: sono obbligato a calpestare i miei sentimenti
e a viverci per sempre.
Forse ci vorrebbero degli esami prima del matrimonio,
forse i corsi prematrimoniali tenuti dai parroci dovrebbero
essere più selettivi prima di arrivare ad un legame
indissolubile. Perché poi arriva il momento in cui
si fanno i conti con la realtà!
E cioè, "semplicemente" arriva il momento (generalmente
dopo la cerimonia) in cui si comincia a pensare al
perché e al percome dell'unione appena effettuata.
E, nell'esperienza di ognuno di noi, è un gran momento
quello in cui si comincia - parafrasando Bion - a
provare a pensare a quello che si sente.
È un gran momento, ma sicuramente è un momento di
grande crisi, e dai momenti di grande crisi si può
uscire con le ossa a pezzi, oppure con lo ossa leggermente
rinforzate: dopo qualche mese di ingessatura si forma
il callo osseo e si può provare a proseguire.
Superando per un poco queste considerazioni dettate
forse soprattutto dallo stupore, cerchiamo di fare
qualche riflessione sul matrimonio e su quelle che,
qui sulla terra, sono le ragioni che spingono due
persone al matrimonio o alla convivenza: l'amore,
il desiderio di un figlio, il desiderio e la speranza
di costruire una realtà diversa da quella che abbiamo
conosciuto, la volontà di andarsene di casa, l'interesse,
un atto riparatorio …molto spesso sono ragioni del
tutto chiare ai futuri sposi, a volte no, che fare?
Non voglio affermare che il divorzio sia la migliore
soluzione possibile, di fatto è, probabilmente, il
segno che si è commesso un piccolo errore, o magari
soltanto che si è un po' cambiati, ma perché non lasciare
agli uomini e alle donne la possibilità di cambiare?
E poi c'è un'altra questione di cui il Papa non si
è occupato davanti al tribunale della Rota romana
(che, credo, sia il tribunale dove si annullano i
matrimoni): i figli.
Ecco, i figli. Sembra che i figli siano una specie
di corollario al Sacro vincolo del matrimonio. Ragazzi
costretti a vivere per anni fra due persone che non
si sopportano più, ma che saranno i loro genitori
per tutta la vita - questo sì che forse è un legame
naturale indissolubile ma contrastato - e dai
quali, prima o poi, ci si dovrà separare.
Forse non si tratta di una separazione paragonabile
a quella del matrimonio (o forse sì), ma è sicuramente
un momento importante nella vita di ognuno di noi,
il momento in cui - dolorosamente - si cambia, si
prova a crescere, e si prova a trasformare un rapporto
quasi esclusivamente simbiotico in un rapporto un
po' più maturo.
Probabilmente anche la separazione di una coppia ha
lo stesso valore di crescita e di maturazione se non
esiste più lo spazio per litigare e per volersi bene,
e credo che si possano nutrire forti dubbi sul fatto
che sia meglio una coppia stabile e inamovibile, a
due individui che - ripeto - dolorosamente cercano
di proseguire nella vita in maniera più autonoma e
più rispondente alla propria realtà affettiva.