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Sotto un identico cielo

La notizia
''La rabbia e l'orgoglio'': lettera da New York.
''Il Corriere della Sera'' del 29 settembre 2001

Il commento
"Esistono dei motivi per i quali la disperazione non è chiaramente riconosciuta o non se ne parla abbastanza, mentre si enfatizza eccessivamente la collera." ("Cosa accade nei gruppi", Robert D.Hinshelwood, Cortina Editore, 1989 ).

Sabato scorso, una lettera ha riempito con il suo corsivo le pagine di un quotidiano italiano: dalla città delle torri spezzate e delle morti infinite, Oriana Fallaci ha interrotto un silenzio decennale con parole feroci per l'Islam. Parole che hanno preoccupato e indignato alcuni, confortato e consolidato l'astio di molti.

Molti, sabato scorso, si sono sentiti meno soli, partecipi di una collera smisurata che chiede, che urla vendetta. Quando qualcuno urla così forte, si può affiancare alla sua la propria voce, e insieme alzare un coro così potente da far dimenticare la paura e la disperazione, e da coprire il fragore dei grattaceli che si sgretolano.

Tra la Rabbia e l'Orgoglio, la Paura e il Dolore vengono opportunamente compressi e soffocati, e con loro la fatica e la sofferenza del pensare, del permanere nel dubbio, dell'interrogarsi sul senso di quanto è avvenuto. Perché la difficoltà sta proprio nel reperire un senso: un terrorismo che si disfa indiscriminatamente e senza indugio delle proprie vittime, lascia sul terreno brandelli irriconoscibili, infangando il concetto stesso di vita e di morte, trasformando l'umano in non umano.

Non c'è un pensiero rivolto alla vittima, non c'è la scelta di una particolare vita da colpire, ma solo strage devastante e cieca, che impasta esseri umani in un immane, indistinto magma di acciaio e sangue, cemento e carne, in cui la vita e il senso di ognuno si perdono per sempre.

Scriveva qualche anno fa Christopher Bollas, a proposito della struttura del male nel nostro tempo: "Si tratta dell'uccisione, non soltanto della morte, del Sé: infatti la morte, per quanto tragica, suggerisce una fine che mantiene un suo significato…Al posto del Sé che viveva un tempo, emerge un nuovo essere, che si identifica con l'uccisione di quanto è buono, con la distruzione della fiducia, dell'amore e della riparazione." ("Cracking up", C.Bollas, Cortina Editore, 1996 ).

Ad una violenza così priva di pensiero, vuota e terribile, può corrispondere allora una reazione piena di furia belligerante, altrettanto pronta a non fare e a non riconoscere distinzioni: ad un atto terroristico senza pietà risponde un mondo ferito divenuto impietoso, che pensa e agisce, specularmente, in modo indiscriminato e magmatico.

Si parte per una guerra altrettanto santa e violenta, si allargano a dismisura i confini del territorio nemico, per essere certi di cogliere senza fallo il bersaglio. Così, il terrorismo da arginare e sconfiggere non sembra più scaturire da una frangia circoscritta del mondo islamico, ma va risolto una volta per tutte in uno scontro apocalittico tra civiltà, in cui la mors tua sarà finalmente e per sempre la vita mea.

Del resto, ancora scrive Bollas : "In questo secolo il mondo è stato testimone di due guerre che hanno polverizzato qualsiasi supposizione si potesse fare sul genere umano, lasciando in retaggio all'uomo fin de siècle una sorta di Sé seriale, che erra in una vita sempre più anonima e che è la risultante dei propri pensieri, della propria disperazione e, all'estremo, della propria ossessione omicida." ( ibidem ).

Il Terrorista, ma anche il Giustiziere, diventano così gli esecutori perfetti che operano in nome di una società che pensa in modo sempre più seriale e privo di significato.

Nella risposta urlata, che non conosce dubbio di sorta, gli uomini del terrore trovano finalmente l'Occidente che cercavano, e che sa parlare la loro lingua.

La terra e la morte
Sempre vieni dal mare
E ne hai la voce roca,
sempre hai occhi segreti
d'acqua viva tra i rovi,
e fronte bassa, come
cielo basso di nubi.
Ogni volta rivivi
come una cosa antica
e selvaggia, che il cuore
già sapeva e si serra.


Ogni volta è uno strappo,
ogni volta è la morte.
Noi sempre combattemmo.
Chi si risolve all'urto
ha gustato la morte
e la porta nel sangue.
Come buoni nemici
che non si odiano più
noi abbiamo una stessa
voce, una stessa pena
e viviamo affrontati
sotto povero cielo.
Tra noi non insidie,
non inutili cose -
combatteremo sempre.

Combatteremo ancora,
combatteremo sempre,
perché cerchiamo il sonno
della morte affiancati,
e abbiamo voce roca
fronte bassa e selvaggia
e un identico cielo.

Fummo fatti per questo.
Se tu od io cede all'urto,
segue una notte lunga
che non è pace o tregua
e non è morte vera.
Tu non sei più. Le braccia
si dibattono invano.

Fin che ci trema il cuore.
Hanno detto un tuo nome.
Ricomincia la morte.
Cosa ignota e selvaggia
sei rinata dal mare.

Cesare Pavese (1945)

Nella volontà di dare un volto riconoscibile e univoco al Male, si perde di vista l'atroce gesto terrorista e ci si rivolge con smisurata violenza contro il Diverso, sentito, in quanto tale, capace di ogni colpa.

Non sembra necessario fermarsi e cercare di comprendere le ragioni dell'odio, se si può semplicemente scatenare la propria rabbia e la propria paura su chi non si riconosce come identico a sé. Il musulmano diventa l'Altro, e dunque è il Nemico: è colui che ci mette in pericolo con la sua stessa esistenza, e per questo, va annullato.

In risposta alle migliaia di vite annientate nelle Torri, ma soprattutto per arginare il terrore della perdita di una propria identità precisa, compatta e idealizzata, si fa strada la tentazione di cancellare risolutamente qualcosa come un miliardo di abitanti del pianeta.

Il progetto della crociata sa essere di vero conforto, per la mente che non tollera la contaminazione. Così l'uomo - cristiano, giudeo, musulmano - finisce per andare in giro, come scriveva Money-Kyrle, con le tasche piene di dinamite.

Lo sforzo volto a compiere un'integrazione rappresenta davvero un'impresa immane, si sa: sia se ci riferiamo al mondo interno dell'individuo, sia se parliamo in termini di identità nazionale. La tolleranza è sicuramente più difficile da esercitare dell'intolleranza e del rifiuto.

Ma fuori dalla logica degli olocausti, dei roghi dell'Inquisizione, della frammentazione del Sé, è la sola strada che vogliamo pensare si possa ancora percorrere.

Su Micene lo stesso cielo di Troia, ma vuoto. Luccicante di smalto, inaccessibile, terso. C'è qualcosa di me che corrisponde al vuoto del cielo sul paese nemico. Finora tutto ciò che mi è accaduto ha trovato la sua corrispondenza dentro di me. Questo è il segreto che mi attanaglia e mi sorregge, e non sono mai riuscita a parlarne con nessuno. Solo qui, sul limite estremo della vita, posso nominarlo: poiché c'è qualcosa di ognuno dentro di me, non sono mai stata completamente di nessuno, e sono arrivata a comprendere persino l'odio che provavano per me.